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Arieti di mare

Creato il 24 agosto 2010 da Fabry2010

di Antonio Sparzani
Arieti di mare

Ma che saranno mai gli arieti di mare? Eppure così dice, letteralmente, Gottfried Benn, Meerwidder, e non v’è dubbio che Widder indichi l’ariete, il maschio della pecora, simbolo tra l’altro di una prestigiosa costellazione (qui ad esempio), segno di fuoco, grande energia.
Mi è venuta incontro fin da adolescente questa parola, quando ancora liceale comperai (costava lire quattrocentocinquanta), e ancora l’ho qui tra le mani, un libro di Hugo Friedrich, La lirica moderna, (Garzanti 1958, copertina blu, scritte bianche e rosse, ricordate, serie “saper tutto”!). Mi attirò molto quel piccolo volume, lo lessi con adolescente avidità, saltando qua e là per la fretta di arrivare in fondo, a leggere la breve antologia di liriche che conteneva nell’ultima parte, Apollinaire, Valery, . . . , Garcia Lorca, Alberti, . . . , T. S. Eliot, Benn, ecc., léggere, sì, con un po’ dell’emozione di conoscere e forse imparare ad amare le prime poesie che provenivano d’oltre confine, Garcia Lorca di certo, c’erano i quarantacinque giri, in quegli anni, incisi da Arnoldo Foà, quella sua voce densa e sicura, col lamento per la morte di Ignacio, corpo presente, anima assente ( «… no te conoce el toro ni la higuera, / ni cavallo, ni hormigas de tu casa, / no te conoce el niño ni la tarde / porque te has muerto para siempre …»), che strazio di viscere … insomma primi amori poetici, io poi già allora avrei voluto sapere tutte le lingue del mondo e invece, allora, masticavo quel po’ di francese imparato alle medie e due parole di tedesco imparate da certi cugini ferraresi. E Benn mi incuriosiva proprio, con quell’onda della notte, perché è bella l’immagine dell’onda della notte, la notte si gonfia e ha una pancia enorme nella quale fa rotolare tutto quel che contiene, compresi gli arieti di mare, ascoltate:

Welle der Nacht

Welle der Nacht ‒, Meerwidder und Delphine
mit Hyacinthos leichtbewegter Last,
die Lorbeerrosen und die Travertine
weh’n um den leeren istrischen Palast.

Welle der Nacht ‒, zwei Muscheln miterkoren,
die Fluten strömen sie, die Felsen her,
dann Diadem und Purpur mitverloren,
die weiße Perle rollt zurück ins Meer.

Il libro di Friedrich, uscito in Germania col titolo die Struktur der modernen Lyrik (Rowohlts Deutsche Enzyklopädie 1956) era tradotto in italiano da Pietro Bernardini Marzolla, che evidentemente tradusse anche i testi poetici. Ecco la sua traduzione:

Onda della notte

Onda della notte ‒, arieti di mare e delfini,
col peso volubile di Giacinto,
le rose di alloro e i travertini
alitano intorno al vuoto palazzo istriano.

Onda della notte ‒, due conchiglie elette assieme,
i flutti le sospingono, via dalle rocce,
poi perduti assieme diadema e porpora
la bianca perla rotola di nuovo in mare.

Ma ecco, e qui sta il motivo occasionale che mi spinge a scrivere queste righe, che scopro oggi (e di questa scoperta ringrazio assai Nadia Agustoni) che la stessa poesia fu tradotta anche da Cristina Campo, e non nel bellissimo volume La tigre assenza, nel quale sono contenute sia poesie sue che molte sue traduzioni di grandi poeti, anche di lingua tedesca, ma in un altro volume, di Vincenza Scuderi: La bellezza per soprammercato. Le traduzioni dal tedesco di Cristina Campo. E questa è una traduzione in un senso un po’ più alto e complessivo della parola. Eccola:

Onda di notte

Onda di notte – arieti di mare e delfini
con il carico appena sommosso di Zacinto,
i laurocèrasi e i travertini
spirano intorno al vuoto palazzo istriano.

Onda di notte – due conchiglie insieme isolate
accorrono sulle alte correnti dagli scogli,
e poi, corona e porpora insieme smarrite,
la bianca perla rotola nuovamente nel mare.

tutti comunque traducono i Meerwidder con arieti di mare (in tedesco la parola potrebbe indicare un certo tipo di balena). A me è venuta invece l’idea che si tratti di animali più strani e undivaghi: quei fiori di spuma che cominciano a correre la superficie quando il mare s’ingrossa, il mare a pecorelle, si diceva da me, sul Gardasee, come il cielo; che tanto, all’orizzonte, chi li distingue più?

[vi copio qui, che siano benedetti gli scanner, il paragrafo del testo di Friedrich (pp. 201‒202), dedicato alla funzione indeterminativa dei determinativi, prendendo come spunto la nostra lirica di Benn: un po’ di “teoria della scrittura” ogni tanto fa bene:

La funzione indeterminativa dei determinativi
Si dovrà qui accennare a un fenomeno stilistico molto frequente nella lirica moderna, che è in rapporto a questa caratteristica della estraneazione di ciò che è familiare. Noi lo chiamiamo funzione indeterminativa dei determinativi e intendiamo dire quanto segue. Una poesia di Benn, Welle der Nacht (Onda della notte), termina col verso:
«la bianca perla rotola di nuovo in mare». Una sensibilità linguistica normale chiederà: quale perla? Nei versi precedenti non si parlava di nessuna perla. Ciò che precedeva era un alitare, un «avvicinarsi», leggermente sorretto da esseri e cose, o più propriamente dai loro nomi magici. Anche la perla è uno di questi sostegni. In essa accade qualcosa che è più importante di essa stessa: una sonorità linguistica e il movimento assoluto del rotolare indietro: l’articolo determinato non esprime qui una reale determinatezza del sostantivo cui è collegato: semplicemente lo introduce, per farne il segno sonoro di un movimento assoluto, che a sua volta fa tornare indietro e conclude i movimenti di giro e avvicinamento dei versi precedenti. Ciò che è indicato dal sostantivo, la perla, non era preparato da niente, e proprio perché l’articolo determinato coincide con questa incognita, ha un effetto indeterminato e misterioso. «Una bianca perla... » avrebbe trasferito il verso in un altro clima.
Nell’uso linguistico normale l’articolo determinato ha la funzione di indicare una cosa che è generalmente nota o che già era stata presentata nel testo. È il mezzo linguistico per confermare ciò che è noto. Ma nella poesia moderna viene impiegato in modo che, in quanto mezzo determinativo, desta certamente l’attenzione, e tuttavia subito la disorienta nuovamente con l’assoluta novità della cosa che introduce. È un procedimento che già era comparso nei lirici del secolo XIX, soprattutto in Rimbaud, coinvolgendo anche altri determinativi, come pronomi personali, avverbi di luogo, ecc. Nel XX secolo esso assume proporzioni vastissime e diventa una delle caratteristiche stilistiche fondamentali della lirica attuale. Una poesia di
J. Supervielle, , L’Appel, contiene un avvenimento quasi fiabesco: «Le signore in nero.., lo specchio... il violino marmoreo...» Tutti gli elementi dell’azione che si svolge sono espressi linguisticamente in maniera determinata, come se lì si conoscesse già da tempo. E invece non si riallacciano a nessuna cosa nota, come per lo più avviene nella vera fiaba. Le prove più numerose di questo procedimento si trovano in Eliot e Saint−John Perse. Si verifica sempre che l’uso dei determinativi con contemporanea indeterminatezza di ciò che è espresso, produce una tensione linguistica anormale, imprimendo così una nota inconsueta a ciò che suona consueto. La lirica moderna, che già di per sé ama contenuti incoerenti, introduce il nuovo d’improvviso a sorpresa. Dandogli un’apparenza di notorietà, il determinativo accresce il disorientamento e rende ancor più enigmatico il nuovo, isolato e senza origine.]

A chi è ancora interessato indico questa pagina, che contiene un non banale commento ‒ in inglese ‒ sulla nostra poesia.



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