Lo stato di alta tensione tra Armenia ed Azerbaigian, che negli ultimi mesi è tornata ad essere fonte di preoccupazione per la comunità internazionale, dato dai frequenti scontri a fuoco tra i soldati dei due eserciti in corrispondenza della frontiera è ora aggravato anche dal processo, iniziato il 27 ottobre scorso, ai danni di due cittadini azerbaigiani, Dilgam Askerov e Shahbaz Guliye, attualmente detenuti in Armenia ed accusati di essere degli agenti azeri infiltrati in territorio armeno con il fine di compiere atti di sabotaggio ai danni delle forze armate di Erevan.
In un comunicato alla stampa, l’ambasciata dell’Azerbaigian in Italia ha definito questo procedimento contro i due azeri “una farsa”, affermando che il gruppo era in viaggio verso il Shaplar, nel Kelbajar, regione sotto occupazione armena; questo era il villaggio in cui era nato il terzo componente della compagnia, Hasan Hasanov, ucciso in circostanze non chiare mentre si stava recando, si legge nella nota, a visitare i parenti.
L’ambasciata infatti fa notare che la prova che i tre non avessero nulla da nascondere è la pubblicazione dei video sull’account YouTube di uno di loro, dove vengono ripresi alcuni momenti del viaggio quindi, si legge nel comunicato, “nulla che abbia a che fare con attività sovversive, ma solo il desiderio di tornare alla loro terra, speranza comune a tutti i profughi azeri che sono stati costretti a fuggire”.
Da oltre vent’anni le truppe armene controllano infatti l’altopiano del Nagorno-Karabakh ed altre sette regioni azere circostanti, tra le quali appunto il distretto del Kelbajar; nonostante la tregua gli scontri a fuoco sono comunque molto frequenti e le vittime delle schermaglie spesso si contano a decine fra entrambi gli schieramenti. Erevan e Baku infatti si accusano a vicenda di attaccare le postazioni di confine con sortite che vengono quasi sempre respinte dai difensori oltre che di inviare di nascosto squadre di sabotatori che agiscono segretamente dietro le linee nemiche.
Nonostante gli sforzi della comunità internazionale e del Gruppo di Minsk, costituito dall’Osce per ristabilire la pace tra i due paesi, la fine della guerra è di fatto impedita da posizioni tra loro inconciliabili; entrambi i contendenti reclamano infatti il Karabakh come un territorio proprio di diritto, in quanto legato indissolubilmente alla loro storia ed alla loro cultura.
Quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (n. 822, 853, 874 e 884 del 1993) richiedono ad Erevan di ritirare le sue forze dalle regioni occupate che, in cifre, rappresentano il 20% del territorio dell’Azerbaigian, e di consentire ai profughi azeri di tornare alle loro case, al fine di creare un clima favorevole all’avvio di trattative di pace che portino a risultati concreti; il governo armeno non le ha però ancora implementate né ha mai dato segnali di volerlo fare, spiegando che la presenza dell’esercito nel Nagorno-Karabakh è necessaria per garantire la sicurezza della popolazione residente nella regione, quasi interamente di etnia armena, fatto dovuto alla fuga dei cittadini azeri, attualmente stipati in campi profughi in Azerbaigian. Il timore di Erevan è infatti un possibile attacco e la riconquista dell’area da parte di Baku, annunciata ogni giorno come imminente dal presidente azerbaigiano, Ilham Aliyev, nei suoi discorsi e comunicati e resa ancora più realistica dal rapido incremento della potenza economica e militare azera.
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Armenia. Scontro sui due azeri a processo per sabotaggio. Baku, ‘Procedimento farsa’
Creato il 11 novembre 2014 da Giacomo Dolzani @giacomodolzaniPossono interessarti anche questi articoli :
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