Magazine Viaggi

Arresi - Puerto Princesa, Filippine

Creato il 11 marzo 2013 da Pulfabio

Arresi - Puerto Princesa, Filippine

La fuga

Gli ingressi al fiume sotterraneo sono limitati, seicento o novecento al giorno, non abbiamo capito bene. Comunque sia i posti sono tutti prenotati per vari giorni. Al centro servizi ci fanno però sapere che se andiamo direttamente a Sabang e alloggiamo presso l'hotel "giusto" potremmo trovare dei permessi non ancora assegnati. Compriamo due posti in un minivan per il giorno dopo. A giudicare dal prezzo e da come ci viene presentato si direbbe che si tratti di un servizio decente.
La mattina ci vengono a prendere all'alberghetto con un furgoncino mezzo scassato. A bordo, oltre a noi, ci sono solo altri due turisti. Ci portano alla stazione degli autobus, dove hanno intenzione di imbarcare altri passeggeri: non c'è problema, mica contavamo di viaggiare spaparanzati su tre sedili a testa. Il flusso in entrata però è interminabile. Il mezzo ha nove posti, più un paio di sedili provvisori, ma questi fanno entrare venti, quindici, venti passeggeri, e ce ne sono altri accalcati davanti al portellone. Nella fila posteriore sei o sette persone condividono quattro sedili, altri stanno seduti su tavole di legno poste in bilico tra sedili, portiere e braccioli. Anche lo spazio per i bagagli è stato occupato e le borse vengono sistemate sul tetto.
Io mi metto il cuore in pace, in fondo sono solo due ore. Mi infastidisce soltanto il fatto che abbiamo pagato probabilmente il doppio o il triplo del prezzo per questo catorcio affollato. Il mio amico però non la prende bene. Per niente bene. Si incupisce, sbuffa, comincia a commentare ad alta voce. Non è abituato a viaggiare così. E' sinceramente preoccupato, forse addirittura un po' spaventato. Pensa che in caso di incidente rimarremmo incastrati come sardine. Ovviamente ha ragione, anche perché so già come guidano. Io però sono abituato a non lasciare mai che i pensieri prendano quel tipo di corso: ci sono posti in Asia dove o non ci vai o se ci vai rimuovi questo genere di atteggiamento. Il suo monologo però comincia a risvegliare la mia claustrofobia atavica. Mi ricordo di quando stavo impacchettato nel sarcofago della risonanza magnetica in un ospedale di Bangkok e pensavo a cosa sarebbe successo nel caso la struttura fosse andata a fuoco. Sentivo la tachicardia montare dentro di me e capivo che se non mi fossi controllato avrei avuto una crisi di panico e avrei dato di matto. In qualche modo riuscii a calmarmi. Ce la farei anche qui, ma non sono da solo e il mio amico non ha nessuna intenzione di calmarsi. Ho l'impressione che l'unico vincolo che lo trattiene sia io: non vuole deludermi. Così non va bene. Gli chiedo se vuole scendere e lasciar perdere: lui reagisce come un ergastolano a cui hanno dato la grazia inaspettatamente. Scendiamo quindi.
Se fossi stato da solo probabilmente non l'avrei fatto. Dico probabilmente perché in realtà l'ho appena fatto, ma in situazioni simili in passato ho insistito. In casi come questo divento un po' incosciente e anche se mi rendo conto dei rischi prendo tutto come una sfida, una prova da superare che la vita mi mette davanti, un prezzo da pagare per i bei momenti passati e ancora da venire. Ma è una visione molto personale della vita, totalmente irrazionale tra l'altro. Ci sono anche altre cose che mi stanno a cuore: la lealtà e la solidarietà nei cofronti di un compagno di avventura sono fra quelle. In fin dei conti mi aspetterei la stessa cosa da lui.
Ci siamo arresi quindi, e ce la diamo a gambe, sotto gli occhi increduli dei filippini. L'abbiamo fatto davvero, ma in fondo va bene così.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine