“Nella Milano degli anni ’50, si incontravano in strada moltissimi uomini con la sigaretta in bocca... non donne, però, perché queste ultime ancora non osavano esibire il loro vizio in pubblico, in quanto quelle che lo facevano venivano immediatamente bollate come donne di facili costumi”.Un'altra inchiesta del Maigret meneghino, ovvero il commissario capo Mario Arrigoni del commissariato di Porta Venezia, personaggio inventato (come anche il commissariato) di una Milano autentica di tanti anni fa. Attraverso il racconto delle indagini sui casi che Arrigoni e la sua squadra devono affrontare, Dario Crapanzano ci racconta della Milano degli anni '50, lasciando alla voce narrante il compito di descrivere le differenze con l'oggi, le espressioni che purtroppo si sono perse, i luoghi di una volta, le mode dei tempi. Siamo partiti dalla scoperta delle vecchie case di ringhiera dove si era costretti ad incontrare i vicini, nel primo Delitto in via Tadino. Poi siamo passati al mondo delle case di tolleranza (ancora tollerate dallo stato italiano, nonostante la morale chiusa dei tempi, ma .. lasciamo perdere) con la Bella del Chiaravalle. Il mondo della pubblicità, con le prime reclame dei prodotti sui giornali, sui cartelloni, alla radio e poi anche nella televisione, col Delitto di via Brera. Altra inchiesta, nei giorni della festa per il patron di Milano, S Ambrogio (e la festa degli Oh bej Oh Bej), il caso di piazzale Loreto. Infine, il mondo del teatro, le su rivalità, ambientato nel teatro (inventato) Imperiale vicino alla stazione Centrale (che già allora era uno dei punti principali della città), con l'omicidio di via Vitruvio. Ora, tocca al mondo degli oratori che, in quegli anni, come anche un po' oggi, era un punto di riferimento importante per le famiglie, specie quelle con meno possibilità economiche: un punto dove poter lasciare i ragazzi affidandoli ai preti della curia. Certo, non tutti erano preti all'avanguardia e dinamici come don Luciano Fontevivo della parrocchia di San Sigismondo Elemosiniere, vicino a viale Abruzzi (non cercatela, è un luogo inventato, per evitare contestazioni post scrittura). È lui, la persona che viene trovata morta la mattina presto, nel venerdì di Pasqua, su una panchina di piazzale Bacone, da un “catamucc”, colui cioè che raccoglieva le cicche di sigarette lasciate per terra per ricavarne il tabacco e confezionare altre sigarette da vendere sottobanco. Non proprio un'attività legale, ma erano anni difficili e ci si doveva arrangiare. Cosa ci faceva don Luciano a quell'ora, su quella panchina? Aveva un appuntamento col proprio assassino, oppure è stato ucciso da un balordo incontrato per caso? Di certo non è stata una rapina, visto che nessuno ha toccato il portafoglio. Un caso difficile per la squadra di Arrigoni, alle prese anche con un caso di ricatto e tradimento. Difficile perché nessuno ha visto niente, forse solo il “catamucc”, al secolo Amedeo Gariboldi, ha intravisto qualcuno aggirarsi attorno al cadavere. Difficile perché il morto è un prete e dunque gli investigatori sono sottoposti ad una doppia pressione. Da parte dei vertici della Questura milanese e anche della curia.
“Monsignor Tavazzi è stato molto chiaro, riferisco alla lettera: “Auspichiamo, qui e a Roma, una veloce conclusione dell’inchiesta, ma mi raccomando: che la Chiesa ne esca immacolata!”. Chiaro il concetto, Arrigoni?»”Difficile perché nessuna delle persone, interrogate dagli agenti perché vicine al mondo dell'oratorio o perché il loro nome era stato scritto sull'agendina del morto, riesce a dare delle notizie o degli indizi utili. Notizie utili oltre alle parole di circostanza che vengono subito raccolte: perché don Luciano era chiamato il prete bello, per la sua prestanza e il suo fascino. E, si sa, un prete bello e per di più molto emancipato per i tempi, raccoglie anche molte maldicenze. Come quelle sulle belle signore con cui collaborava per gli spettacoli teatrali. Come la signora Weiss, una bella donna della borghesia milanese, sposata con un banchiere svizzero e con un passato da attrice. E dai modi molto altezzosi, conscia del rango sociale e della sua avvenenza. E poi Eleonora Maggioni, di professione sarta, sposata con un artigiano, che preparava i costumi per le recite in oratorio. Oltre a queste due signore che negano ogni relazione col prete, Arrigoni, assieme all'ispettore Giovine, al vice Mastrantonio e all'agente Di Pasquale, incontrano un vasto campionario di umanità, legata al mondo della vittima. Il prefetto dell'oratorio, Attilio Monteverdi, che si occupava degli aspetti amministrativi e non vedeva di buon occhio tutte le attività del prete bello. La giovane signora Maristella Piacentini, di cui don Luciano era confessore. Ma come mai il suo nome era sull'agendina? Il vecchio prete, don Franco Spaccagnella, responsabile dell'oratorio femminile, di tutt'altra pasta rispetto a don Luciano per le sue vedute sul mondo, ben più ristrette. Il prevosto della parrocchia, Don Remo, “un omone alto più di un metro e ottanta, di corporatura robusta a stento trattenuta dalla pur ampia tonaca, capelli folti e brizzolati”. Amante dei sigari Avana e del buon rum. La perpetua poco perpetua, Ombretta Vercellesi, una ex sciantosa di tabarin che, nonostante gli anni, rimane molto piacente:
«Dicevo che in parrocchia ci siamo imbattuti in una singolare combriccola: un gioviale parroco progressista che fuma sigari avana e beve rum; una vivacissima perpetua, in gioventù “sciantosa” di tabarin; un don Franco acido e roso dall’invidia, e infine un vecchio sagrestano.Compone il quadro il signor “Watson”, ovvero Ettore Guardaboschi, amico della vittima nonché investigare privato, cui don Luciano si rivolgeva per risolvere delle questioni legati ai ragazzi del suo oratorio e ai loro problemi. Ad avvalorare la pista passionale, come quella del marito geloso che accecato dall'ira uccide il prete, una lettera, forse una minuta, trovata nella sua stanza:
«Senta un po’ che cosa c’è scritto qui: “Cara amica, questa storia deve finire, e la faremo finire. Lo richiedono il rispetto della mia missione, la veste che indosso e la sua situazione familiare. Dobbiamo assolutamente...”La frase non è completa: don Luciano aveva dunque una relazione con una donna, o forse c'è dell'altro dietro quelle parole un po' sibilline? Nonostante tutte le difficoltà, la squadra di Arrigoni arriverà alla soluzione, e anche questa volta per una intuizione del giovane Di Pasquale, che metterà l'indagine sui giusti binari. E darà una spiegazione a tutti i perché. Perché quell'omicidio a quell'ora, perché proprio quell'arma. E perché quelle parole ... Ma, come per tutti i romanzi di Crapanzano, nel libro c'è spazio per la vita privata di Arrigoni, il nido accogliente della sua casa con le sue donne, la moglie e la figlia, dove rilassarsi dopo il lavoro. C'è spazio per raccontare dei riti di Pasqua della famiglia Arrigoni: quelle faccende personali del venerdì di Pasqua:
Le “faccende personali” del commissario consistevano nel mantenimento di una promessa fatta alla figlia tredicenne Claudia: partecipare al “giro delle sette chiese”, una tradizionale usanza cattolica del Venerdì Santo, ideata da san Filippo Neri per celebrare il martirio di Cristo, [..] i fedeli che ottemperavano a quanto previsto dalla regola, avrebbero avuto diritto all’indulgenza plenaria.
Una vera e propria via crucis per i poveri piedi di Arrigoni.
Promessa cui era esentata l'ottuagenaria madre, “data l’età, avrebbe maturato ugualmente il diritto all’indulgenza entrando e uscendo sette volte dalla stessa chiesa”.Oltre ai riti pasquali, ci sono anche i rimedi medici dei vecchi: come quello per abbassare la febbre:
“La febbre veniva combattuta con impacchi di panni freddi sulla fronte[..] Contro tosse e raffreddore, subito sotto le coperte dopo una tazza di vin brulé, vino bollito aromatizzato con cannella[..] La purga ideale era invece un cucchiaio di olio di ricino, medicamento dal sapore disgustoso,[..] Altrettanto sgradevole era il gusto dell’olio di fegato di merluzzo,..”Infine, una chicca, la cura per l'orzaiolo:
“La terapia più curiosa era senz’altro quella seguita per guarire gli orzaioli, la cura consisteva nel guardare, con l’occhio malato, nel collo di una bottiglia di olio di oliva ...”.Per fortuna che sono rimedi passati di moda e che non ci si rivolge più a certi guaritori (pret de Ratanà, nel dialetto dell'epoca). Non manca un accenno alla cronaca giudiziaria: è il 1953 ed era appena scoppiato il caso di Wilma Montesi, la giovane ragazza trovata morta a Torvajanica. Uno scandalo che riempì le pagine dei giornali con le varie ipotesi sulle cause della morte, che lambì il mondo della politica (e costo la successione a De Gasperi per il ministro Piccioni). Buona lettura! Gustatevi l'ultimo interrogatorio ...
La scheda del libro sul sito di Mondadori e i link per ordinarlo su Ibs e Amazon.