In treno, durante un brutto ritorno svogliato, mi fa come sempre compagnia un libro. La copertina nera, il titolo bene evidente: Arrivederci amore, ciao. Di fronte a me una ragazza asiatica che m’ignora del tutto, accanto a lei un vecchietto dallo sguardo dolce che mi guarda e mi chiede: è una bella storia d’amore? Sorrido, dico di sì. Poche altre volte ho detto una così grande bugia.
Avevo una grossa lacuna, un vero debito verso me stessa, colmato da un regalo; la mia amica Simona ha deciso che era proprio il momento di ovviare a questa mancanza ed ecco che Arrivederci amore, ciao di Massimo Carlotto è giunto a me. Giunto si fa per dire, mi si è scagliato addosso piuttosto, facendomi porre a più riprese una sola domanda: “ancora?”. Eh già, ancora. Non il suono dell’amplesso, sia chiaro, ma quel lamento di chi chiede grazia, salvezza, eppure prova gusto, e si sente complice del carnefice mentre lo supplica di smettere.
Nel produttivo nord-est un ex terrorista, al termine di un forzato esilio in Sud America, riesce con l’infamia ad evitare di scontare la pena per la complicità nell’omicidio di un metronotte. Dopo un breve soggiorno a San Vittore, Giorgio Pellegrini, si rende conto che la vita da povero non fa per lui, ed è proprio l’operoso contesto in cui si trasferisce a fornirgli le chiavi per una svolta. Una rapina, degli utili omicidi (che, come il primo nelle terre selvagge, portano al protagonista un certo godimento), il riciclaggio, l’usura sono tutti passi verso la costruzione di uno status sociale prima invece rifiutato. La vera grana si fa con i reati finanziari, altro che droga. E con i soldi ci si compra anche la rispettabilità, la riabilitazione ma…
Un infame sadico, questo è Giorgio Pellegrini, che in barba al nome compie un cammino verso la dannazione. Non ha pietà per nessuno, anche a letto ciò che conta per lui è il controllo. La soddisfazione del coito per lui passa per la sottomissione, l’umiliazione e la dominazione dell’oggetto femmina -questo è la donna- che si convince persino di amare.
Chi non ha mai sentito parlare di questo libro? Il papà del noir italiano, apprezzato anche all’estero, con quest’opera è stato finalista all’Edgar Award. Conoscevo già alcuni dettagli della storia, di recente ho persino recensito uno dei figli prediletti di Carlotto. Punita dal tempo di attesa per la scoperta, possedevo già una serie di dettagli che avrebbero potuto forse rovinare qualcosa della lettura: niente di più lontano dal vero. Il libro è veloce, tagliente, sapido. L’indulgere nel torbido non dura mai abbastanza e altro, di ancora più melmoso, attende il lettore voltata la pagina. Ed ecco un silenziatore alla nuca, un rapporto sessuale sotto costrizione, un poliziotto corrotto che scivolano tra le poche pagine giù, di fretta, mantenendo ritmo e asciuttezza mentre descrivono lo sporco. Sì, lo sporco di un uomo, di un sistema, della società che consente, chiude gli occhi, si volta altrove.
Il treno andava, il viaggio era uno schifo (parafrasando molto un altro papà del noir, più lontano nel tempo di Carlotto) ma come sempre un libro che valga la pena leggere può cambiare di molto le cose. Non escluderei che il dolce vecchietto alla fine mi abbia visto comparire un ghigno in viso.
Marina Vitale
Arrivederci amore, ciao
Massimo Carlotto
€ 9,50
Edizioni E/O
2001
192 p