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Dedico questo “post” all’evento di venerdì scorso a Londra, “Arrivederci Italia?“. Capita raramente di vedere riuniti nella stessa sala, in una città straniera, oltre 220 nostri connazionali (per la maggior parte giovani), animati dalla voglia di dibattere, confrontarsi, ascoltare. E soprattutto di capire, cosa possono fare… per cambiare in meglio l’Italia. Per renderla un “Paese per Giovani”. Dove poter anche tornare -chissà- un giorno.
Per oltre tre ore ci siamo intrattenuti nell’auditorium della Scuola Italiana di Londra: una non-stop che penso abbia pochi precedenti, soprattutto per il tema trattato. E che ha mostrato una gran voglia di discutere, anche all’estero, dei motivi che hanno portato centinaia di migliaia di nostri connazionali a lasciare il Paese.
Gli argomenti toccati nel corso delle tre ore di dibattito sono stati innumerevoli: dall’università alla sanità, dal mercato del lavoro ai salari, dalla classe politica alla gerontocrazia, ecc..
Provo a riassumere alcune delle analisi emerse:
-Università: per alcuni, quella italiana è degradata negli ultimi dieci anni, con un progressivo scollamento tra mondo accademico e mondo del lavoro. Manca un serio controllo sulla qualità dei corsi. Per altri la preparazione -a livello teorico- da parte dei nostri atenei resta comunque buona. Il problema è che poi mancano gli stimoli e le prospettive, per i giovani “dottori”. Gli studenti non vengono responsabilizzati a sufficienza. Alcune proposte emerse: insegnamento obbligatorio dell’inglese; Erasmus obbligatorio per tutti; incentivi economici all’uscita di casa, per lavorare e studiare all’università senza l’appoggio della famiglia di origine.
-Mercato del lavoro: da molti è stata sottolineata la piaga dello stage in Italia, che troppo spesso si trasforma in lavoro gratis, senza prospettive di assunzione. Da alcuni partecipanti è stato contrapposto -al modello italiano- quello anglosassone, dove si verifica invece un continuo ricambio tra assunti e licenziati, con un mercato del lavoro molto più dinamico. Altri hanno puntato il dito contro l’abitudine troppo “italiana” di sfruttare al massimo le risorse umane. Senza trascurare il fatto che, si è denunciato, molte aziende conservano ancora una mentalità estremamente rigida: a “X Laurea” corrisponde “X Lavoro”. Non è -ad esempio- facilmente immaginabile un umanista al lavoro nel settore della finanza, nel Belpaese.
-Salari e Responsabilizzazione: un’insegnante ha messo in rilievo come -espatriando- il suo stipendio sia raddoppiato. Chi invece lavora nel settore bancario ha sottolineato come lo stipendio sia sì superiore, ma in UK le tutele sociali siano minori. Altri però hanno fatto immediatamente presente come in Gran Bretagna il sistema sia premiante e meritocratico. “In Italia manco ti pagano…”, è stato osservato. Emblematico l’intervento di una partecipante, laureata in Storia dell’Arte: “Io vivo a Londra e con la cultura ci mangio… A Londra sono considerata “credibile”, in Italia non vieni proprio valorizzato!“. E ancora: molti hanno denunciato come in Italia i lavori non siano pubblicizzati in modo trasparente: spesso le aziende non rispondono neppure alle candidature, manco per dirti “no, grazie”.
-Gerontocrazia: un partecipante, al lavoro nel settore pubblicitario, ha constatato come nella sua azienda britannica i giovani abbiamo il “volante” dell’impresa nelle loro mani. Ben diversa la situazione in Italia…
Infine, alcune delle PROPOSTE emerse nel corso della serata:
-innalzamento dei salari in Italia
-maggiore mobilità nel mercato del lavoro italiano, anche a costo di minori tutele
-regole precise per forzare il ricambio dirigenziale nelle aziende italiane
-meno vincoli per l’avviamento d’impresa in Italia, soprattutto per le imprese ad alto tasso di innovazione
-incentivi ad assumere i “creativi” nelle aziende
-necessità di maggiori investimenti e maggiore coraggio nell’affrontare questo periodo storico
-incremento dell’imposta di successione, affinché ognuno sia costretto a guadagnarsi la propria fortuna, senza vantaggi di partenza strettamente “famigliari”
-proibire i pagamenti post-datati, che spesso rinviano ulteriormente la corresponsione del già magro stipendio per i contratti di collaborazione/a progetto
-last but not least, è emersa -in modo chiaro- la coscienza della necessità di “fare gruppo” per cambiare le cose.
Personalmente spero che la serata londinese abbia gettato il primo seme di una “riscossa” dei nostri giovani professionisti all’estero. Vi siete contati, avete scoperto di essere in tanti -da nord (Trento) a sud (Catania), impegnati in TUTTI i settori lavorativi- e avete scoperto di pensarla allo stesso modo. Avete soprattutto scoperto di essere quell’Italia “sana”, che proprio nella Penisola non trova più voce. Avete scoperto che abbiamo bisogno di voi, per tornare a far pesare nel dibattito nazionale parole come “giovani”, “merito”, “innovazione”. Non lasciate cadere questo seme in un terreno arido e improduttivo. Fatelo sbocciare, innescando un profondo cambiamento culturale. Abbiamo bisogno di voi, ora più che mai.
P.S.: Grazie a tutti gli organizzatori per l’enorme dedizione dimostrata: a Daniela per l’ottima moderazione, a Ornella dell’Italian Bookshop per la passione, a Giancarlo di ItaliansofLondon e a Stefano di Alumni Bocconi per l’organizzazione, ad Andrea de”Il Fatto Quotidiano” per averne parlato a più riprese. E ovviamente, a Claudia, come sempre, per l’ottima e proficua collaborazione. THANK YOU!
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