La settimana scorsa mi trovavo a New York per vacanza, e ho colto l’occasione per visitare il MET, il Metropolitan Museum of Art. Premetto che il museo è una tappa imperdibile per chi ama l’arte, sia per le dimensioni davvero notevoli, sia per la diversità e la completezza delle collezioni esposte. Dico la verità, sono rimasto impressionato da tanta vastità. Tra le varie collezioni, anche quella che probabilmente è la più ampia di “arte islamica” al mondo: circa 12000 opere, di cui circa 1200 esposte. In particolare, interessante è stato scoprire come tra i maggiori collezionisti di arte islamica di inizio Novecento risultassero proprio americani (tra cui Edward C. Moore, la cui collezione fu la prima ad essere acquisita dal MET), affascinati da queste opere per la loro provenienza esotica. Quasi in antinomia con l’odierno sentimento di sospetto e di contrasto che gli Usa (o meglio, molti dei suoi cittadini, lo dico per esperienza diretta) provano nei confronti del Mondo musulmano ed in particolare della Turchia. Va detto che, tuttavia, l’esposizione mi è sembrata riscuotere un certo interesse, avendo colto sguardi molto attenti sui volti dei visitatori. Al di là, mi sento di aggiungere, del credo religioso. Spero proprio che questa esposizione rappresenti occasione per permettere una maggiore conoscenza di quei Paesi, al di là degli aspetti meramente artistici. La collezione, cui sono dedicate circa una quindicina di stanze al secondo piano, comprende per l’appunto ceramiche, manufatti di vetro, ferro, tappeti e manoscritti (Corani), provenienti da Iran, Siria, Egitto, e Turchia. Le opere di provenienza turca risalgono al periodo ottomano: sciabole, elmi e daghe del XVI- XVII secolo, splendide ceramiche della città di Iznik risalenti al XVII secolo, tappeti della prima metà del XVI secolo. Proprio i tappeti del periodo ottomano, grazie alla loro diffusione che andava dall’Inghilterra al Giappone, hanno rappresenta un simbolo dell’arte dell’Impero ottomano, arte che comprendeva i raffinati e pregiati tappeti destinati alle corti reali di tutta Europa, e al contempo i tappeti creati nei villaggi rurali in ogni angolo dell’Impero. Alcuni di questi tappeti, che devono la propria fama anche all’artista italiano Giovanni Bellini che li rappresentò in alcuni dei suoi dipinti, e da cui appunto prendono il nome (“Bellini Carpets”), presentano all’estremità la rappresentazione di una specie di serratura, a cui alcuni studiosi attribuiscono il compito di indicare la Mecca (mirhab), mentre altri ritengono sia una sorta di fontana destinata alle abluzioni prima della preghiera.
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