CORTE COSTITUZIONALE, BCE E BUNDESBANK. IN GERMANIA SI DECIDE SU OMT E POLITCHE MONETARIE PER IL DESTINO DELL' EURO
Articolo tratto dal Blog Tempesta Perfetta, che ritrae il quadro dello scontro che sta avvenendo tra la Banca Centrale Europea (BCE) e la Banca Tedesca Bundesbank.Un duello che si sta giocando a dinanzi alla Corte Costituzionale di Karlshrue, la quale si è già espressa lo scorso anno sulla costituzionalità dell MES (meccanismo europeo di stabilità), e che anche questa volta dovrà decidere se le politiche della BCE, in particolare il programma di acquisto titoli di stato, in senso illimitato, sul mercato secondario (I famosi OMT, Outright Monetary Transactions), che come nel caso degli LTRO, allungheranno soltanto di qualche mese la lunga agonia della moneta unica e del mercato unico europeo, violano i trattati europei ed anticostituzionali rispetto alla costituzione tedesca. La Corte Costituzionale non si esprimerà su aspetti di validità delle politiche economiche, ma sulla base giuridica di queste.
Un processo che risulterà di fondamentale importanza in vista di una possibile uscita della Germania dall' euro come prima nazione.
E sempre bene ricordare che, mentre la stessa Germania è entrata nell' euro per convenienza e secondo calcoli premeditati a danno dei PIIGS, l' Italia attraverso i suoi governanti l' ha fatto per fede, credendo realmente al "sogno", (anzi al Fogno), degli Stati Uniti D'Europa.
Capirete bene che in Italia l'ingresso dell' euro è stato sempre posta come una scelta etica, morale e politica, che dopo tanti (falsi) sacrifici (fatti dalla gente) iniziali, in un futuro immaginario avrebbe recato vantaggi strutturali, in termini di benessere, pace e prosperità a tutti i popoli europei. Queso è il FOGNO.
Oltretutto se vogliamo dircela come si deve, i tedeschi non è mai fregato nulla dell' Europa semplicemente perchè, la storia insegna che, hanno sempre badato ai loro interessi mettendo sempre in secondo piano tutto il resto, e del cosidetto Fogno alla Germania non è mai fregato niente.
Quello che sta accadendo in questi giorni in Germania potrebbe rappresentare un vero spartiacque per l’esistenza o meno della moneta unica: la Corte Costituzionale di Karlsruhe, in rappresentanza dei cittadini, la Bundesbankin difesa dei grandi capitalisti e banchieri nazionali e la BCE come garante degli interessi tedeschi a livello europeo stanno vivacemente discutendo sull’opportunità di far rimanere ancora la Germania all’interno dell’area euro. Sintetizzando al massimo questo è il succo della questione, che può essere edulcorata e manipolata quanto si vuole dai mezzi di informazione, ma poco cambia a livello sostanziale. A differenza di come si vuol fare credere in Italia, i tedeschi non solo non pensano nemmeno lontanamente alla creazione dei mitologici Stati Uniti d’Europa, ma grazie all’euro e alle sue infinite magagne tecniche e istituzionali stanno ritrovando e rafforzando la loromillenaria compattezza e coesione nazionale. Lo Spirito Patriottico di Germania uber alles, prima e sopra ogni altra cosa. Ciò non vuole dire che non ci siano scontri e tensioni sociali fra le varie categorie coinvolte, ma che si sta mediando, si sta trattando per arrivare ad un accordo o un compromesso che non prescinda dall’unico obiettivo condiviso: il bene della Germania e del suo Popolo tutto, ricchi e poveri, operai e imprenditori, banchieri e politici.Il dibattito interno che si sta svolgendo ormai da anni in Germania sulla costituzionalità dei Trattati Europei e sulla convenienza economica e finanziaria di adottare ancora la moneta unica, deve farci capire essenzialmente una cosa: la Germania ha da sempre inteso la sua adesione agli accordi di Maastricht prima e all’eurozona dopo, sempre in chiave di rendiconto commerciale, economico, finanziario, con pochi risvolti di carattere politico, ideologico, istituzionale, perché da questo punto di vista non esisteva alcun dubbio o fraintendimento di sorta tra i tedeschi: la Costituzione e le Istituzioni pubbliche e private della Germania valgono sempre di più di qualunque trattato commerciale europeo o comitato d’affari con sede a Bruxelles. La Germania è entrata nell’Unione Europea e nel Mercato Unico per fare affari, profitti, surplus, e non per stravolgere la sua Carta Costituzionale e la sua natura di Popolo, che rimangono intoccabili e insindacabili. Chiunque abbia cercato negli anni di ledere questi principi è stato bruscamente respinto, ricacciato fuori, allontanato, perché quello che interessa alla Germania èl’analisi costi-benefici di una certa operazione e non i suoi ambiziosi effetti geopolitici di lunga gittata: se una cosa mi conviene economicamente la faccio, hic et nunc, in caso contrario la rifiuto, la modifico, la cambio in funzione di quelli che sono gli interessi nazionali tedeschi. Una visione che può essere considerata poco lungimirante, misera, miope quanto si vuole, ma tant’è. Lo sapevamo fin dall’inizio, prima ancora di iniziare questi folli programmi unitari, che in Germania si ragiona così. Perché quindi stupirci o indignarci solo adesso che gli errori di eccessiva superficialità e pressapochismo commessi in passato stanno emergendo in tutta la loro grandezza.
Capite bene infatti che una simile impostazione di matrice tedesca è lontana anni luce e diametralmente opposta a ciò che invece, a livello politico e mediatico, si è fatto in Italia. L’ingresso dell’Italia nell’euro è stato da sempre presentato come una questione politica, ideologica, morale, ontologica che comporta tanti sacrifici immediati in termini economici, finanziari e sociali, ma alla fine, in un futuro sempre più lontano e impalpabile arrecherà dei vantaggi imperituri al benessere e alla pacificazione di tutti i popoli europei. Noi italiani siamo stati costretti o indotti ad entrare nell’euro per Fede, mentre i tedeschi hanno accettato di abbandonare il loro adorato marco perCalcolo. A noi italiani nessuno si è mai degnato di spiegare per tempo cosa significava avere una moneta unica e rinunciare alla propria autonomia fiscale e monetaria, mentre i tedeschi sapevano benissimo che l’annullamento della flessibilità di cambio e la mancata rivalutazione del marco rispetto alle altre monete europee, avrebbe favorito le loro esportazioni e il loro settore produttivo. Riprendendo un noto slogan pubblicitario: “a noi italiani sono stati venduti Sogni, mentre ai tedeschi Solide Realtà”. E chi ha vinto e chi ha perso in questa caotica ammucchiata di opposte scelte di campo, non sarebbe neppure più il caso di ribadirlo: hanno vinto i pragmatici tedeschi contro gli stralunati italiani brava gente, o spagnoli, greci, portoghesi, una faccia una razza. In verità non c’è stata nemmeno partita, perché la Germania aveva già vinto ancora prima del fischio di inizio. Punto. Con tanti bei saluti a chi ancora crede ai sogni di gloria paneuropei e alla bella trovata di potere mandare i propri figli in giro per l’Europa grazie ai viaggi Erasmus. Ma veniamo adesso ai giorni nostri per capire meglio cosa sta accadendo in Germania. Martedì 11 e Mercoledì 12 giugno la Corte Costituzionale di Karlsruhe ha ascoltato prima l’udienza di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e poi quella di Joerg Asmussen, membro tedesco del direttorio della BCE, per avere le rispettive versioni tecniche riguardo i rischi economici per la Germania di concedere alla BCE il permesso di effettuareacquisti illimitati di titoli di stato sul mercato secondario (OMT, Outright Monetary Transactions). LaBundesbank sostiene che l’intervento della BCE sul mercato secondario equivale ad un sostegno diretto alla politica fiscale dei paesi della periferia, impedita dai trattati europei, e di conseguenza ad una perdita di indipendenza e autonomia della banca centrale, perché una volta avviato il programma sarà difficile se non impossibile sospenderlo senza creare una nuova violenta turbolenza nei mercati finanziari. Inoltre secondo la Bundesbank questo allentamento monetario potrebbe vanificare gli impegni dei governi dei PIIGS alconsolidamento dei bilanci pubblici e al rimborso dei crediti posseduti in buona parte dalle banche tedesche.La BCE invece sostiene che il suo eventuale intervento sul mercato secondario non equivale ad un finanziamento diretto dei deficit pubblici, ma ad una normale operazione monetaria di mercato aperto della banca centrale indirizzata a mantenere un tasso di interesse omogeneo e sostenibile per i rispettivi stati membri. L’impegno della BCE a garantire l’”irreversibilità” dell’euro preso la scorsa estate, obbliga in un certo senso la BCE ad intervenire in tutti i casi in cui si renderà necessario utilizzare l’OMT: non prima però che lo stato in questione avrà firmato un rigido memorandum di intesa con tutte le misure restrittive di austerità pattuite (tagli alla spesa pubblica, aumenti di tasse, riforme del mercato del lavoro, privatizzazioni, liberalizzazioni). La BCE quindi agirebbe soltanto come braccio armato del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, dato che le anticipazioni fornite dalla banca centrale verrebbero poi reintegrate con i soldi del fondo. E siccome il MES, dopo la sentenza della Corte Costituzionale di settembre scorso, anche se a fatica, è stato già fatto digerire ai tedeschi, la BCE spera che stessa sorte tocchi all’OMT. In fondo, data la farraginosità del MES, la BCE è costretta ad attivarsi in fretta per tamponarel’esplosione degli spreads, la quale è spesso dovuta alla scarsa o assente trasmissione della politica monetariadella banca centrale e ai timori di frattura dell’area euro che gravano su ogni paese a prescindere dai suoi comportamenti fiscali più o meno virtuosi. Ma a conti fatti, per quanto ragionevoli possano sembrare le tesi messe sul tavolo, la BCE dovrà dimostrare davanti alla Corte che l’euro è ancora un buon affare per la Germania. Tutto qui.Tralasciando però per un attimo le spiegazioni evidenti e scoperte, qual è invece la ragione più profonda dello scontro fra Bundesbank e BCE? Proviamo a fare qualche ipotesi. La Bundesbank non si fida più dell’euro, vuole affrettare i tempi di uscita, razzolare tutti i crediti ancora esigibili e poi tornare al marco. La BCE invece cerca di spingere, come è naturale che sia, per prolungare ancora per qualche anno la sua sopravvivenza, assicurando nel frattempo la Germania che in un modo o nell’altro costringerà i debitori a rimborsare tutti i prestiti sospesi e a mettere in vendita tutto ciò che ancora può essere gradito ai maggiori investitori e creditori internazionali, tra cui vanno ovviamente annoverati le grandi aziende e banche tedesche. E in mezzo ai due contendenti ci sono poi gli stessi contribuenti e lavoratori tedeschi che intanto tempestano di denunce e ricorsi la Corte Costituzionale, essendo gli unici a pagare per garantire profitti e rendite alle grandi aziende e banche nazionali. E’ un gioco a tre insomma, che in linea con il tradizionale stile teutonico si concluderà soltanto quando i costi per mantenere in vita l’euro saranno pari ai vantaggi che la Germania riuscirà ancora ad ottenere.Quali sono i costi? Le quote di partecipazione ai vari fondi di salvataggio europei, che fino ad oggi ammontano a circa €200 miliardi, ma sono destinati a lievitare in futuro a causa dei versamenti dovuti al MES per un totale di €190 miliardi, tutti a carico dei contribuenti. Quali sono i vantaggi di rimanere ancora nell’area euro? Continuare ariscuotere i crediti sospesi e limitare i danni soprattutto per il settore bancario, che in caso di uscita dovrebbe conteggiare diverse e ingenti perdite fra gli attivi. E qual è il punto di non ritorno, il break-even point? Per avere un’idea dobbiamo andare a vedere cosa sta accadendo in quell’ingarbugliato intreccio del sistema dei flussi finanziari europei, rappresentato come è noto dai saldi TARGET2: grazie agli ultimi anni di austerità le banche tedesche hanno diminuito le loro esposizioni, gli squilibri nelle partite correnti si stanno lentamente riducendo, e d’altra parte la stabilità apparente dei mercati finanziari ha frenato le crisi di panico e le fughe di capitali dai paesi periferici verso la Germania. Risultato: i crediti della Bundesbank nei confronti delle altre banche centrali europee sono rientrati di quasi €200 miliardi in poco più di un anno (guarda grafico sotto aggiornato a gennaio 2013), arrivando oggi a €612 miliardi. Presumibilmente quando questi crediti, maturati in ambito soprattutto privato, scenderanno a €400 miliardi, la Germania potrà decidere in qualunque momento di staccare la spina, perché intanto i suoi prestiti internazionali erogati tramite i fondi di salvataggio e il MES (e quindi istituzionali, regolati da trattati sovranazionali da cui sarà impossibile per i debitori sottrarsi) avranno raggiunto la stessa cifra. Ripeto che si tratta di un ragionamento di massima, mentre le considerazioni finali che verranno fatte nei centri di potere disseminati in tutto il suolo germanico saranno molto più particolareggiate, dettagliate e dovranno trovare un compromesso fra i tanti interessi spesso contrastanti. Non ultimo il contenimento delle tensioni e sommosse popolari che presto o tardi si scateneranno anche in Germania, a causa della diminuzione dei redditi e dell’aumento della disoccupazione. Unica variabile questa davvero imponderabile e imprevedibile dello scenario considerato.E non sappiamo neppure quanto la BCE potrà resistere con le sue operazioni monetarie ad arginare le ondate di protesta che ormai dilagano in tutta Europa, tranne che in Italia. Anche perché il bazooka OMT ancora spento della BCE non è proprio illimitato, come si sarebbe erroneamente indotti a credere. Innanzitutto è limitato dal capitale del MES, che quando sarà interamente rifondato sarà di €700 miliardi. Inoltre gli accordi prevedono che la BCE possa acquistare sul mercato secondario soltanto titoli che abbiano maturità inferiore ai tre anni, cosa che può spingere gli Stati a continuare a finanziarsi con titoli a breve termine, aumentando così l’instabilità e le fibrillazioni dei mercati. Come spiega il giornale tedesco FAZ già solo questo vincolo abbasserebbe la capacità di acquisto della BCE a €524 miliardi, cifra insufficiente a stabilizzare il prezzo dell’enorme quantità di titoli di debito emessi e circolanti di paesi come Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo, Grecia, Cipro. Secondo un altro giornale tedesco, Handelsblatt, ci sarebbe poi una regola interna che impone alla BCE di mantenere a bilancio titoli di stato soltanto per la metà del mercato considerato, che in soldoni ridurrebbe a soli a €260 miliardi la capacità finanziaria della BCE. Ovvero la banca centrale europea ha già adesso quasi raggiunto la soglia massima.Come si può vedere dal grafico riportato sotto, nonostante nessun paese abbia ancora richiesto l’attivazione dell’OMT e grazie a precedenti operazioni monetarie come il SMP (Securities Markets Programme) o agli attuali acquisti della BCE (siete per caso ancora fra quelli che credono che lo spread si sceso perché il governo Monti era credibile o il governo Letta ispira fiducia ai mercati?), la quantità di titoli di stato posseduti dall’istituto di Francoforte ammonta a poco più di €200 miliardi. Di cui €99 miliardi sono titoli italiani, €43,7 miliardi sono bonos spagnoli, €30,8 bonds greci, €21,6 portoghesi, €13,6 irlandesi. E siccome l’Italia ha già versato €43 miliardi in quote di partecipazione ai piani di salvataggio, altri €20 miliardi di esborsi sono previsti nella seconda metà del 2013 e altrettanti nel 2014, ciò significa che noi stiamo pagando il MES per costringere indirettamente la BCE a comprare i nostri titoli di stato: sarebbe stato quindi infinitamente meglio costringere con la forza i cittadini italiani a comprarsi da soli i titoli di stato quando i prezzi erano bassi, invece di consentire alla BCE di speculare sui nostri alti rendimenti. E così facendo non avremmo fra l’altro azzerato ogni spazio di manovra fiscale espansiva del governo proprio nel momento in cui sarebbe stato più urgente ed efficace allentare la pressione tributaria e iniettare maggiore liquidità nel sistema tramite la spesa pubblica. Nessuno può mettere in dubbio che gli interventi tempestivi, progressivi e costanti della BCE (fra cui vanno annoverate le due operazioni LTRO) abbiano consentito di abbassare gli spreads e calmierare le richieste dei mercati (vedi grafico sotto), ma non dobbiamo mai dimenticare che ancora nessuno dei problemi strutturali, veri, reali della nostra economia è stato affrontato e risolto: elevata disoccupazione, bassa crescita, riduzione dei consumi e della produzione industriale, interruzione del credito bancario, pressione fiscale alle stelle, strangolamento delle piccole e medie aziende. Considerando poi che ogni afflusso di capitali nella periferia corrisponde ad un aumento dei costi di ristrutturazione del debito pubblico e privato in Germania, è chiaro che il maggiore interventismo della BCE abbia finito per risvegliare il pragmatismo tedesco ad ogni livello, dal singolo contribuente, passando per il professore di economia, fino all’alta dirigenza della Bundesbank. Lacontrapposizione ormai insanabile fra Bundesbank e BCE non è altro che la materializzazione di quel primigenio rompicapo e vizio di forma del mercato unico per cui gli interessi della Germania non coincidono mai con gli interessi generali dell’intera Europa. E così ogni intervento in più della BCE per salvare l’euro, corrisponde allo stesso tempo e nella stessa misura ad un passo in avanti verso l’uscita della Germania dalla zona euro e la successiva frantumazione della fragile unione monetaria nel suo complesso.La sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che con ogni probabilità verrà diffusa dopo le elezioni tedesche del 22 settembre, potrebbe quindi accelerare il processo in uno o nell’altro senso di marcia: la legittimità dell’OMT sarebbe una proroga per la BCE a continuare il suo lavoro di difesa dell’euro, mentre una sua bocciaturadarebbe avvio ad un’ennesima ondata di panico nei mercati e ad un elevato rischio di rapida implosione dell’intera eurozona. Ad ogni modo, il punto non è tanto sapere come e quando la Germania uscirà dalla zona euro, ma comprendere come ragiona il Popolo tedesco, capire che ormai la sua uscita è un fatto conclamato, certo, irreversibile perché non esistono più le condizioni tecniche ed economiche per rimanere: la Bundesbank ha rivisto al ribasso le stime di crescita per questo e per il prossimo anno (0,3% invece di 0,4% per il 2013, e 1,5% invece di 1,9% per il 2014), le esportazioni si sono ridotte drasticamente (su base annua si registra un calo del -4,2%, dovuto principalmente alla contrazione del -7% dell’export verso l’eurozona), il malessere sociale sia interno che esterno non consentiranno ai tedeschi di procedere ancora a lungo nella loro opera di risanamento dei crediti contratti con la periferia. La Germania è entrata nell’euro quando aveva tutto da guadagnare, per rilanciare la sua economia e ripagare gli ingenti costi dell’unificazione tedesca, e ne uscirà quando capirà che restare comporterà solo perdite, riduzione dei profitti, paure di spinte inflazionistiche, impossibilità di dettare la linea alla BCE e alle istituzioni europee, incapacità di reprimere il dissenso interno che sta montando ad un ritmo vertiginoso.Anche qualora ci fosse la volontà politica dei maggiori partiti tradizionali (CDU e SPD) di continuare sulla via di una maggiore integrazione europea, suggellata da una vittoria alle prossime elezioni, né la Merkel, né Schauble, né Steinbruck potranno impedire a 37.000 cittadini tedeschi di inviare ricorsi presso la Corte di Karlsruhe per denunciare l’incostituzionalità dei trattati e degli accordi europei, o ad una trentina di professori di economia di fondare un partito euroscettico (Allianz fur Deutschland) che giorno dopo giorno aumenta i suoi consensi. Come già accaduto nei precedenti casi di faticosa approvazione del Fiscal Compact e del MES, anche un eventuale lasciapassare costituzionale dell’OMT metterà sicuramente ancora altri paletti e restrizioni all’invadenza degli organismi sovranazionali europei e a difesa delle uniche legittime istituzioni nazionali destinate a resistere e rafforzarsi nel tempo: Bundestag, Governo, Lander, Bundesbank. Come abbiamo già detto, i continui attacchi alla sovranità nazionale condotti dalla tecnocrazia europea stanno corroborando e intensificando il patriottismo, l’orgoglio e l’identità del Popolo tedesco e non li stanno invece diluendo e sfaldando come accade purtroppo in Italia. Per una ragione ben precisa con cui prima o dopo dovremo fare i conti: a differenza dei tedeschi, noi italiani non siamo mai stati una Nazione, non siamo mai stati un Popolo, tranne nei casi estremi di conflitti bellici non abbiamo mai sentito vibrare dentro il petto quel Sacro Furore di appartenenza, di condivisione dei destini e di legame indissolubile con i propri Confini territoriali, storici, umani, spirituali, atemporali. Ma siamo più che altro un insieme, una somma di interessi individuali, variegati e circoscritti pronti a vendere la propria Nazione e la propria Bandiera al migliore offerente, senza sentire mai un pizzico di senso di colpa o un qualsiasi scrupolo di coscienza. “Teniamo Famiglia”, insomma, prima ancora della Patria, come ci fece notare a suo tempo un brillante Longanesi.Paradossalmente per ritrovare o trovare per la prima volta il nostro orgoglio e la nostra identità nazionale, noi italiani dobbiamo sperare che i tedeschi siano ancora più patriottici, nazionalisti, ostinati e mandino in frantumi questo tentativo bislacco e criminale di distruggere l’Unità di un Popolo in nome di un’Unione di Mercato o di Moneta. I tecnocrati europeisti fin dall’inizio non avevano solo sbagliato i calcoli relativi alle Aree Valutarie Ottimali, ma non avevano neppure previsto il Fuoco indomabile dello Spirito Nazionale Tedesco. E questo non lo puoi spegnere con un Fiscal Compact, un MES, un OMT, una sentenza accomodante della Corte Costituzionale, perché non c’è vincolo che tenga o interesse economico, da qualunque parte esso venga rivendicato, che possa stemperare le paure e le ansie spesso irrazionali e istintive di un Popolo che si sente minacciato. Vogliamo biasimare e criticare i tedeschi per il loro anacronismo e astoricismo? Perché questi crucchi testardi e bigotti non capiscono l’importanza epocale degli Stati Uniti d’Europa? Facciamolo pure, ma prima domandiamoci perché mai noi italiani non abbiamo ancora subissato la nostra Corte Costituzionale di lettere, ricorsi, denunce, appelli dopo avere assistito passivamente alla distruzione del nostro tessuto produttivo e sociale, all’umiliazione e al suicidio dei nostri connazionali, alla flagellazione del nostro territorio e dei nostri diritti, allo stralcio dei nostri principi e valori costituzionali in nome di illogiche regole, inspiegabili norme, incomprensibili direttive, insensati vincoli, tutti chiaramente incostituzionali e contrari alle più elementari prassi economiche, deliberati da un freddo e cinico comitato d’affari con sede a Bruxelles.
Se prima non avremo risposto per bene a questa domanda non potremo capire nulla dello Spirito Tedesco. Se prima non avremo capito il motivo del nostro pudore, imbarazzo, disagio non appena sentiamo le parole Patria, Nazione, Bandiera, non potremo pretendere di spiegare ad un tedesco che questi principi e simboli riguardano un lontano passato da dimenticare, mentre il futuro deve essere senza frontiere, barriere, confini, proiettato inun’inquietante prospettiva di Unità e Omologazione che dovrebbe spaventare non poco chi crede nella diversità, nella multietnicità, nel progresso che nasce dalle differenze e dalla sintesi di opposti contrari che eternamente esistono in natura (ma voi avete mai sentito parlare di una savana in cui vivono soltanto gazzelle o leoni o ghepardi o elefanti o ippopotami? O di un’Europa abitata soltanto da europei?). Se prima non avremo scavato a fondo in tutte le nostre contraddizioni, i nostri sensi di colpa, i nostri rimpianti, i nostri rimorsi così come hanno fatto i tedeschi dal dopoguerra ad oggi, non potremo capire che la Resistenza, la Liberazione, l’Assemblea Costituente erano soltanto un semplice punto di partenza e non di arrivo del nostro complicato, laborioso e tuttora incompleto processo di Ricostruzione Nazionale, Popolare, Democratica. Sapete quando si dice che non si può amare nessuno, se prima non si è imparato ad amare se stessi: ecco, bene, cominciate quindi ad evitare di innamorarvi di amenità illusorie come gli Stati Uniti d’Europa, se prima non avrete sentito palpitare il cuore, l'anima, ogni cellula del vostro corpo al suono della parola Italia. In caso contrario ogni patetico tentativo di dimenticare, passare avanti, cercando disperatamente di vivere sentimenti più alti e universali per reprimere gli assilli della quotidianità e dei problemi reali si rivelerà un fallimento, una delusione, una frustrazione e una sofferenza continua. E questo ve lo dice un italiano che per sentirsi tale è costretto a pensare e a sperare in tedesco.