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Non che dicesse cose sbagliate, per carità. Però penso che il successo di questo libro (e il mio conseguente fastidio) nasca da un malinteso linguistico: nel mondo anglosassone, "artist" ha un significato non esattamente sovrapponibile a quello italiano.
Quando studiavo storia dell'arte, la distinzione era questa: artista è colui che nelle sue opere porta qualcosa di innovativo, altrimenti si è artigiani. Poi, per carità, la distinzione a volte è sottile: sugli artisti minori è davvero difficile pronunciarsi, e probabilmente ha anche poco senso, fino al Romanticismo circa.
Per intenderci su quello che intendo io, per me J.K. Rowling è un'artista, Laurell K. Hamilton non lo è neanche nei romanzi meglio riusciti. Le leggo entrambe, ma, anche nelle opere migliori della Hamilton, la distinzione mi è sempre stata molto chiara.
Io mi ritengo un'artigiana. Di livello potenzialmente professionale per quanto riguarda la narrativa, amatoriale per quanto riguarda la danza.
Tra le persone che conosco, ci sono alcuni artisti: la mia maestra Francesca Pedretti, per esempio, e alcuni dei maestri che ho incontrato a festival e stages.
Tutti gli altri sono artigiani. Di vari livelli, ma sempre artigiani restano. E già il fatto che si punti invece sulla parola "artista" per solleticare l'ego del lettore mi urta terribilmente.
L'altra cosa che mi dà fastidio del libro della Cameron è la presunzione che tutti siamo artisti tali da poter vivere della nostra arte. Ora, un conto è dirsi: ho lavorato per 10 anni, ho messo da parte un po' di soldi che mi permettono di non morire di fame, posso provarci. Dipende anche molto da come si esprime la tua "arte": ho sempre detto che, se Luca vivesse vicino a qualche posto turistico, una bancarella sul lungomare tutte le sere gli permetterebbe di guadagnarsi un altro stipendio nei mesi estivi con i suoi lavori di ceramista. Se nelle stesse sere si mettesse sul lungomare a suonare la darbouka, probabilmente entro qualche sera ne ricaverebbe un paio di costole rotte, nonostante sia più bravo come musicista che come ceramista.
La verità è che Luca non è un professionista né della ceramica né della darbouka perché l'unica bravura che gli rende abbastanza da viverci è quella di fare formaggi. Io potrei impegnarmi e diventare una vera insegnante di danza, ma di certo non riuscirei a mantenermici: l'unico modo per vivere di una mia abilità creativa potrebbe essere fare il content manager come un tempo, ovvero scrivere per attività business.
Purtroppo siamo sempre vissuti in tempi in cui l'arte, a qualsiasi livello, è sempre stata un lusso: in tempi di crisi anche i grandi artisti patiscono la fame, figurati quelli piccoli e "inutili".
Non penso che non ci si debba provare, per carità, ma trovo criminale incoraggiare chiunque sulla via del tentativo: è sacrosanto e giusto che solo pochi possano vivere di arte, perché il lavoro deve essere utile e l'arte raramente lo è. Va benissimo trovare una propria nicchia di creatività, ma alla fine il grano e il riso saranno sempre da piantare e non è che chi guida il trattore sia potenzialmente meno artista degli altri. Se tutti siamo potenzialmente artisti, allora tutti siamo potenzialmente lesi nei nostri diritti quando facciamo lavori non artistici: questa tesi mi sembra inaccettabile, anche se capisco il contesto "American Dream" da cui nasce l'esortazione della Cameron.
Cosa scriverei io, se dovessi "correggere" il libro della Cameron? Direi che non è sbagliato sentire impulsi creativi e assecondarli, anzi, ma che dobbiamo anche farci qualche domanda di marketing: in che cosa sono più bravo? Su che cosa conviene che mi concentri, dal momento che il tempo non è infinito? Quale bisogno soddisfo con la mia eventuale arte? Solo così posso finalizzare davvero la creatività, senza passare per un vanesio tuttologo che si sente artista ma non sa come realizzarsi.
E poi, Julia, hai toppato su una cosa: io una settimana senza leggere la posso anche passare, ma per la mia mente sarebbe come per il mio corpo digiunare per una settimana (l'ho appena fatto, e non è stata un'esperienza piacevole). Se leggere smorza i miei impulsi creativi, beh, vuol dire che quello che sto leggendo è meglio di quello che vorrei produrre. E allora tanto vale.
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