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Ashtanga una filosofia di vita

Creato il 23 aprile 2014 da Simonellif

/ Yoga / allenamento, armonia, coscienza, discipline, energia, pranayama, pratica, tecnica, tempo, yoga / 0 Comments

Entra in questo gigantesco campo di energia e attraverso la tua pratica Ashtanga Yoga, lasciati vivere, respiro per respiro, Vinyasa per Vinyasa. Il tuo tappetino diventa la tua fermata dell’autobus e potrai così salire sul bus dell’Ashtanga Yoga. Il viaggio ti condurrà direttamente ad uno stato di benessere, fisico, mentale e spirituale. Questa pagina potrà essere la tua guida per il viaggio più emozionante della tua vita, una mappa del tuo cammino spirituale.

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La via dello Yoga e le otto membra (ashtanga yoga)

La strada che lo Yogin deve percorrere per il risveglio è costituita da otto rami principali. Essi vengono definiti solitamente come “ashtanga” cioè, otto membra. Patanjali, negli yoga sutra, indica al praticante le otto membra dello Yoga che conducono all’unione con l’Atman (l’Anima Universale). Essi sono:

1) Yama – comandamenti morali
2) Niyama – autopurificazione
3) Asana – posizioni
4) Pranayama – controllo del respiro
5) Pratyahara – emancipazione della mente
6) Dharana – concentrazione
7) Dhyana – meditazione
8 ) Samadhi – stato di coscienza superiore (unione con Paramatma)

Yama: i freni morali. Ogni errore morale è un grande ostacolo per la liberazione. Un retto comportamento è la pietra fondamentale su cui si erge la purificazione dello yogin. Alcuni dei precetti sono simili a quelli delle altre grandi religioni:

1) Non uccidere;
2) Non rubare;
3) Non essere avaro;
4) Sii veritiero;
5) Pratica l’astinenza sessuale;
6) Non causare dolore ad alcuna creatura.

Essere veritieri significa non mentire, ma soprattutto accordare parola,pensiero ed azioni. La parola non deve essere né dannosa né sterile. Essa va usata per il bene e secondo verità. Lo Yoga insiste: ci deve essere armonia tra parole, pensieri ed azioni. La disarmonia è ostacolo alla liberazione.

L’astinenza sessuale deve essere totale, non perché sia “peccato”, ma semplicemente perché lo Yogin deve incanalare ed usare l’energia sessuale per la liberazione. Il desiderio sessuale non va sublimato, ma completamente annientato.

Niyama: è costituito dall’insieme delle discipline atte alla purificazione morale e fisica. Fanno parte di questo percorso l’ascesi (tapas),il corretto modo di alimentarsi, i digiuni che seguono le fasi lunari,lo studio della metafisica. L’ascesi conduce alla sopportazione dei contrari: caldo-freddo, fame-sazietà, dolore-gioia,ecc… Essa consiste nella privazione: assenza di parola,rinuncia al cibo,abbandono delle espressioni miminche. La purificazione fisica conduce al distacco dal corpo.

Lo studio porta alla liberazione dal dubbio, un grande ostacolo per la purificazione. Si studia la dottrina dello Yoga e la recitazione dei mantra (ripetizione di sillabe sacre –OM- o canti).
Le pratiche del Niyama sono volte al conseguimento della serenità (samtosa), necessaria per il proseguimento del cammino.

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Asana
A questo punto abbiamo preparato il corpo e la mente per entrare nel vivo della tecnica Yoga, l’esecuzione delle Asana e delle sequenze di asana (pratica per cui lo Yoga è conosciuto in Occidente). Le asana consistono nell’eseguire una posizione in armonia e – a tempo – con il respiro. Esse permettono di condurre la persona in uno stato d’immobilità che simboleggia la staticità dello Yogin che si contrappone alla mobilità dell’esistenza.

Bloccando la posizione, lo Yogin si avvicina allo stato meditativo attraverso il corpo. L’asana come il successivo pranayama sono forme di concentrazione su un solo oggetto (ekagrata). Nel caso dell’asana questo oggetto è il corpo. Nel caso del pranayama, l’oggetto è il respiro. La quiete permette di indirizzare la mente verso la “contemplazione” della posizione stessa. L’immobilità dell’asana è un primo passo verso i controllo del flusso degli stati di coscienza.
Inizialmente l’asana può essere scomoda o fastidiosa, ma per produrre i suoi effetti dev’essere eseguita senza alcun fastidio e senza sforzi, dev’essere stabile e gradevole. Questo si ottiene seguendo un maestro (guru) e con un lungo allenamento.
Il mantenimento dell’asana è opposizione al divenire del cosmo,rifiuto del divenire, e, in questo senso, diventa purificazione.

Pranayama
Dalla concentrazione sul corpo, si passa alla concentrazione sul respiro. Il Pranayama è la gestione della respirazione. Ci sono tantissime tecniche di respirazione. Il respiro deve seguire un ritmo ben determinato. La tecnica più nota di meditazione consiste nella concentrazione sul respiro.In generale, il respiro e le sue fasi dovrebbero divenire sempre più lunghi. In allcune pratiche di respirazione Inspirazione (puraka), espirazione (recaka) e trattenimento del fiato (kumbakha) si devono alternare durando lo stesso periodo di tempo. Il fine è quello di rallentare fino al limite la respirazione, diminuendo in questo modo la dipendenza dal mondo esterno. Dal punto di vista fisiologico, lo Yogin,rallentando la respirazione, può avvicinarsi al “sonno del non dormiente” , uno stato in cui si possono catturare gli stati di coscienza latenti. In questo modo,lo Yogin cerca di catturare gli stati di coscienza inconsci in modo consapevole.
La pratica sulla respirazione aiuta ad avvicinarsi e staccarsi dalla vita. Il processo respiratorio permette l’esistenza della la vita stessa nella sua duplice valenza: sofferenza e ricerca della liberazione. Controllare il respiro significa iniziare ad essere padroni della propria esistenza, non lasciarsi vivere, ma iniziare a vivere.

Pratyahara
Il Pratyara serve per preparare la mente alle pratiche successive. L’intelletto non deve più rivolgersi all’esterno, ma deve rimanere in se stesso. Questo si ottiene tagliando i ponti con l’attività sensoriale.
La mente non è più in balia dell’attività dei sensi. “Quando i sensi si distaccano dai loro oggetti per assumere la natura propria della coscienza, si ha il Pratyahara” [Patanjali - Yogasutra. Sadhana Pada, af.54].
A questo punto lo Yogin dovrebbe aver conquistato il distacco dagli stimoli del mondo esterno e dal dinamismo del subcosciente ed è pronto per passare alle “tre membra dello Yoga” (yoganga): la concentrazione (dharana), la meditazione (dhyana) e la stasi (samadhi). Poiché lo Yogin può conquistare uno dei tre stadi, ma ricadere involontariamente in uno degli altri due, questi tre stadi si chiamano nel loro complesso “samyana”.

Dharana
Il Dharana (sostegno, mantenimento, coesione,folazzazione) è la concentrazione su un solo punto per facilitare la comprensione. Mentre Ekagrata è semplice fissazione su un solo punto, nel Dharana si sviluppa anche la comprensione. Ad esempio, ci si fissa su un oggetto o su un pensiero. Punti di concentrazione possono essere una forma esterna – generalmente più facile da mantenere – oppure interna, cioè pensata.

Tradizionalmente, nello yoga, si assumono come punti di concentrazione il centro tra le sopracciglia, la punta del naso, il cerchio dell’ombelico, il “loto del cuore”, alcuni di essi sviluppando un particolare rapporto con il simbolismo appartenente alle varie scuole.

La mente si concentra su un solo pensiero, eliminando tutti gli altri pensieri. È come se avessi una rete piena di pesci e ne prendessi uno solo, osservandolo attentamente. In questa forma di meditazione l’oggetto della meditazione ed il meditante sono ancora separati. In altre parole, il meditante ha coscienza del fatto di meditare.

Dhyana
La fase successiva è l’ingresso nella meditazione vera e propria,il dhyana. Lo Yogin – a questo punto –è in grado di rivolgere l’attenzione non più alle forme, ma alle essenze delle cose. Essa ha sempre come riferimento degli oggetti. Permette di penetrare gli oggetti, facendoli propri. Penetrando gli oggetti tramite il Dhyana si riesce a comprenderli nella loro essenza. Dhyana ci conduce in una realtà che non ha niente a che vedere con gli oggetti, le forme, i sentimenti con i quali ci confrontiamo quotidianamente. Ovviamente è difficile da descrivere a parole perché è oltre le parole,il linguaggio, l’analisi razionale. In questo stato di coscienza mancano i consueti riferimenti per descrivere la realtà. Non siamo neanche consapevoli del preciso istante in cui la nostra coscienza sta passando dalla concentrazione alla meditazione vera e propria.
L’unica possibilità di mantenere una traccia è il simbolo che è stato assunto come forma di concentrazione iniziale. A questo punto siamo pronti per scivolare nell’ultimo stadio.

Samadhi
Ovvero l’unione del meditante con l’oggetto meditato, l’unione dell’anima individuale con l’Anima universale. Il Samadhi è uno stato completamente invulnerabile agli stimoli esterni, ma non va confusso con l’ipnosi. Esso è un “ratto”, ma è provocato dalla soppressione di tutti gli stati mentali passando attraverso gli stadi che lo precedono.

Esistono due tipi di Samadhi: con sostegno e senza.
Il Samadhi samprajnata è il Samadhi senza sostegno (stasi differenziata) . Si ottine quando sono “spente” tutte le funzioni mentali, ad eccezione di quella che mediata sull’oggetto. Questo stato si ottiene passando per le due fasi precedenti (concentrazione e mediatazione). In questo Samadhi si distinguonoo quattro stadi successivi: argomentativo, non argomentativo, riflessivo, sovra-riflessivo. Essi sono semplicemente dei livelli di Samadhi samprajnata, attraverso cui si deve passare per salire l’ultimo gradino ed arrivare al samadhi senza sostegno.
Il Samadhi asamprajnata (senza sostegno o stasi non differenziata) consiste nell’arresto di tutte le funzioni mentali. Non esiste neanche più quella che mediata sull’oggetto. In questo stato si ha la piena comprensione dell’essere. Essa annienta le impressioni delle funzioni mentali antecedenti e riesce ad arrestare tutte le forze Karmiche. Bisogna precisare che non è provocato intenzionalmente, ma vi si passa casualmente dal precedente stato, una volta esperiti i quattro livelli del samadhi senza sostegno. Questi permettono di salire sul gradino da dove si può attendere il samadhi finale. Esso è il coronamento di tutti gli esercizi meditativi e delle pratiche Yoga, ma giunge senza essere provocato direttamente, nasce in modo spontaneo. In alcuni casi, può invece intervenire la grazia di Icvara che permette di salire direttamente allo stadio finale senza passare per quelli precedenti. In questo stato non esisteno più né il tempo e né lo spazio e lo stesso concetto di “io” viene meno.

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Questo permette la conoscenza diretta dell’Essere, in quanto non ci sono più filtri tra il meditante e l’essenza della realtà. Ancora di più, non esiste più distinzione tra il meditante e l’essenza della realtà. Immaginiamo una goccia che cada in un oceano, questo è quello che avviene quando lo Yogin entra nell’ultimo stadio, si perde nell’infinita immobilità dell’essere. Non solo ne è parte, ma è anche indistinguibile dal tutto.

A questo punto, lo Yogin si è aperto una porta all’interno della quale essere e conoscere sono la stessa cosa arrivando così alla pienezza ontologica originaria e, dunque, alla liberazione.

Questo è in sintesi l’ ashtanga yoga costituito da otto membra.

Fonte: Secondo la tradizione di Sri K. Pattabhi Jois


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