Il problema dell’immigrazione in Italia è sempre all’ordine dal giorno: d’altronde la posizione strategica del nostro paese fa sì che sia il primo a essere raggiunto da chi fugge dalla miseria, dalla fame e dalle guerre africane. Questa situazione è arrivata a vicino al collasso l’estate scorsa con l’ondata di arrivi extra dopo la caduta dei regimi.
L’Italia, oltre ad essere stata richiamata per quattro volte in due anni dalla Corte Europea per la violazione dei diritti umani degli immigrati, è finita al centro di un dossier firmato da due avvocati tedeschi. Quest’ultimi, mentre difendevano alcuni rifugiati che avrebbero dovuto essere rispediti in Italia, hanno visitato le nostre strutture. Da qui è nata la filippica.
Il Dublino II, la normativa europea che regola i flussi migratori, prevede che la richiesta d’asilo debba essere gestita dal paese in cui sono state registrate le impronte digitali. Siccome Italia e Grecia sono le porte dell’Europa sul Mediterraneo, è qui che usualmente avviene, nonostante per i migranti siano delle semplici tappe intermedie alla volta dell’Eldorado nordico. Non vedono l’ora di andarsene, visto che in terra italica ed ellenica è dove vengono trattati peggio.
L’iniziativa dei due legali ha spinto i tribunali di Francoforte, Dresda, Friburgo, Colonia, Darmstadt, Hannover e Gelsenkirchen a bloccare le espulsioni degli immigrati che avrebbero dovuto recarsi in Italia e in Grecia perché “non ci sono garanzie di dignità umana” in questi paesi.
Il meccanismo per la gestione dei rifugiati è piuttosto macchinoso. I richiedenti sono trattenuti nei Centri di identificazione ed espulsione, non esattamente dai villaggi vacanza, anche per mesi mentre vengono vagliate le domande, sempre che abbiano la minima conoscenza delle leggi o la possibilità di consultare chi li può informare.
Solo il 40% ottiene l’asilo politico dalla Commissione territoriale, gli altri vengono rimandati nei paesi di provenienza. A questo punto il rifugiato viene preso in carico dallo Sprar, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, che si occupa di trovare l’alloggio, fornire gli alimenti e coinvolgerli in un programma di inserimento socio-linguistico grazie all’aiuto degli enti locali. Il Sprar ha a disposizione tremila posti, quindi può gestire seimila rifugiati l’anno contando che il programma dura 6 mesi. Le richieste sono però sempre oltre diecimila.
Chi rimane fuori dallo Sprar entra nei Cara, i Centri di accoglienza richiedenti asilo, che mettono a disposizione un posto letto da abbandonare entro le otto. Quando i Cara sono colmi, viene garantito ai rifugiati un compenso di 45 euro al giorno per il sostentamento e vengono lasciati in balia delle città, senza possibilità di essere contattati qualora si liberasse posto. Viene a mancare l’assistenza sanitaria, l’inserimento nelle liste d’impiego, la patente.
Il Comitato Italiano per i Rifugiati ha spesso criticato il Dublino II perché non risponde ai principi contenuti nella Convenzione di Ginevra, non distribuisce in modo equo i rifugiati e non consente ai paesi più esposti di gestire differentemente il flusso migratorio. L’Italia però deve anche fare mea culpa: non sono pochi i migranti che, una volta raggiunta la Germania, la Gran Bretagna e la Scandinavia, si bruciano le dita per non far riconoscere le impronte e non dover ritornare indietro. Qualche motivo, al di là della burocrazia, ci sarà.
Fonte: RE