
Oggi per andare alla fermata dell’autobus decisi di non ascoltare musica. So benissimo che quella dell’iPod è un’abitudine che serve a tenermi compagnia mentre cammino, ma quando scesi dalla macchina mi accorsi di non averne voglia.
Così, fino alle 8.15 circa, per una ventina di minuti mi sono immerso tra i rumori mattutini di Villafranca, cittadina che mi capita sempre più di rado di vedere nelle ore di maggior attività.
Ero fermo alla fermata del bus, fumando una sigaretta, e cercando di catturare più particolari possibili.
Non so ancora se dirmi o no soddisfatto di questa esplorazione uditiva e visiva, so solo che il rumore del traffico copriva ogni cosa.
Ebbene sì, alle 8 del mattino, in quel di Villafranca, vi sono già degli ingorghi tali da tappare, in un unico serpentone di automobili e motorini, gran parte della cittadina. E ogni mattina un po’ di questa coda devo sorbirmela pure io per poter parcheggiare in un buco. Un giorno mi sono persino messo a osservare ogni macchina che passava. Be’, l’80% degli esseri umani tappati come Simmenthal nelle loro auto sempre più grandi era costituita dall’accoppiata genitore-figlio. La mammina che porta il figlioletto a scuola in macchina, anche se la loro casa dista poco meno di 100 metri 100 dal luogo di detenz… ehm… di educazione del pupo. Ma lasciamo perdere questo discorso, me ne sono già occupato in un altro post.
Possibile che per una volta che decido di liberarmi un po’ le orecchie dalla musica devo essere investito da un simile frastuono?
È inutile, in ogni luogo in ci rechiamo veniamo sistematicamente investiti dai rumori che odiamo nel profondo, che nuocciono alla nostra tranquillità, che tuttavia ci sforziamo di catalogare sotto la voce necessari.
Non riusciamo a riposarci nemmeno facendo un viaggio, quella pausa che per tutto l’anno lavorativo attendiamo con ansia. Anche nei momenti di pausa tutto deve essere programmato al minuto, schedato in un archivio e attuato il più in fretta possibile.
Da quando siamo piccoli, fino alla nostra morte, la vita viene programmata; le nostre esistenze inzuppate di impegni e ricorrenze molte volte inutili. Parlo delle sempre più numerose attività alle quali condanniamo l’innocenza dei nostri figli e la salute mentale dei nostri padri di famiglia.
La soluzione sembra semplice: imparare che c’è anche il tempo del non fare un cazzo. Quei momenti in cui ci stendiamo sul divano, liberiamo la mente, e non pensiamo a nient’altro che non sia stare sdraiati su quel cazzo di divano. Quei momenti in cui l’unico pensiero deve essere il proprio benessere, ‘fanculo gli altri; senza eccedere però.
Purtroppo è la società del troppo avere e averlo subito che ci ha insegnato la frenesia. L’essere umano, per continuare a vivere, deve per forza tenersi occupato.
Soldi, soldi, soldi. Non vi è più la mentalità di colui che si accontenta di quello che ha (sempre che le sue condizioni siano dignitose). Bisogna arricchirsi e farlo in fretta.
Dobbiamo tornare ad accontentarci di quello che abbiamo, senza dover per forza accumulare, accumulare e accumulare in un enorme circolo vizioso la quale fine è l’inevitabile instabilità mentale. Una famiglia riesce a sfamarsi, a pagare il mutuo e a togliersi qualche sfizio? Ok, va benissimo così, non andiamo oltre.
Certo è che questi tempi bui non riescono a farci accontentare, anche perché molte volte quel poco che abbiamo non serve nemmeno a comprare un paio di scarpe per i nostri figli.
Inizialmente ho odiato il frastuono prodotto dal traffico, ma il solo pensare che dietro a quello ci saranno state persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese mi ha calmato. Sono salito sull’autobus, ho acceso l’iPod e mi sono messo a scrivere. Pensando ad un futuro che si rivela essere sempre più improponibile e in parte spaventoso…
E.