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Assaggi di romanzi inediti - da GIGOLO' PER CLIENTE UNICA: stralci dei capitoli 10 e 11

Creato il 06 dicembre 2011 da Zioscriba
Assaggi di romanzi inediti - da GIGOLO' PER CLIENTE UNICA: stralci dei capitoli 10 e 11
Così hawajana non vale
Quel pomeriggio dovevo già recarmi in città per piazzare una puntata sul calcio dal mio bookmaker, e per tre o quattro tascabili economici che avrei comprato da Pontiggia: qualcosa per me e un regalo per Federica. Mi ero appuntato su un fogliettino nomi e numeri dei sette-otto annunci che mi interessavano. Su un altro fogliettino gli 1-X-2 della speranza. Su un terzo, titoli e autori. Non per criticare, ma ero strapieno di fogliettini del cazzo. Parcheggiai lungo un vialone alberato di periferia, accesi il telefonino e cominciai a chiamare. Sull’Okkasiùn Perbenista c’erano solo (rare) occasioni etero (sino a pochi anni fa, nemmeno quelle: solo le agenzie matrimoniali, perché quella è roba onesta, perbacco!).
Véronique avrebbe dovuto portare pazienza, oggi scopavo io. Prima setacciata:
ISABELLA, MORA, 20 ANNI, NOVITÀ!: Il numero da lei desiderato non è più attivo.
VALERIA, MAGGIORATA, CALMA, RICEVE SOLO EDUCATISSIMI: Il numero da lei desiderato non è al momento raggiungibile.
Chissà cosa starà facendo…
CHIARA, ITALIANA, 30 ANNI, MOLTO CALMA, PULITA, RICEVE SOLO DISTINTI: Risponde la segreteria telefonica del numero…
In compenso il cellulare di “Patrizia calma” suonava a vuoto. (Ma che è ‘sta fissa della calma, gli uomini han paura che je menino, i troioni?)
Come inizio non c'era male.
[....]
Poi, sorpresa: “Viki” è un’hawajana di vent’anni, appena arrivata in Lombardia! Dice che sono in due. C’è anche un’amica italiana, e potrò scegliere. Ma in cuor mio ho già strascelto la ventenne delle Hawaii. Mi dà un indirizzo facile da trovare, in una via che ha il nome di un poeta. Prima, le commissioni. Ma col pensiero a Viki, a come sarà questa Viki, a come sarà l’appartamento al poetico indirizzo, a cosa ci farò insieme alla mia Viki.
[....]
Un’ora dopo, sbrigate le mie cose, arrivo nei pressi dell’appartamento nella via intitolata al poeta, e ritelefono. La dolce ventenne hawajana mi dà istruzioni più precise: «Sul citofono “S”», dice. «“S” come Sesso».
Queste proprio ti stendono, a colpi di fantasia.
Lascio la macchina poco lontano e mi avvio a piedi. Pioviggina. Me ne accorgo allorché sento un vecchietto annunciare: “El gutìsna!” (Gocciola!) Le gambe, molli, mi sorreggono a malapena. Anche se sono un tipo navigato, è sempre come la prima volta, per me. Al numero indicatomi c’è un residence. Davanti al cancelletto non riesco a individuare la S. Le targhette fatte scorrere troppo in fretta mi danno l’effetto vertigine dei libri nella biblioteca di Federica. Sto per rinunciare, sto per chiamare di nuovo col motorola blu regalo della mamma. Poi spunta dal mazzo la S, e suono. «Vialetto a destra, scala esterna, secondo piano», dice la voce hawajana.
Entro nel giardinetto. Guardo su. Intravedo una tendina che si muove a spiare i miei capelli appena inumiditi dalle gocce fini fini. È una piccola cosa che mi fa tenerezza. È come l’essere aspettati a casa. Papà sta arrivando, bambina.
Quella che viene ad aprirmi quasi quasi mi si nasconde dietro la porta. Ci risiamo, penso. Mi sorride. Decisamente racchia. Sembra la sorella di Natasho Cozzolin. Potrebbe chiamarsi Vespasiana, per quel che ne so. Sto per incazzarmi. Lei sostiene di chiamarsi Alexia, e mi introduce nel normale ingresso-soggiorno di casa vostra: un divanetto, un tavolo rotondo, una tv sintonizzata su un programma per minus habens – unico elemento fuori posto il letto matrimoniale col copriletto zebrato. Senza paura di sembrare scortese, chiedo subito dell’amica hawajana. C’è davvero? Pare di sì, per fortuna. Vespasiana Cozzolin sparisce dietro una tenda che fa da porta-separé. Rispunta fuori tenendosi per mano con la ventenne hawajana. La ventenne hawajana è una probabile trentenne con ben poco, di hawajano. Non si capisce di dove diavolo venga. Etnia indefinibile. Bassotta e pienotta, faccia da palla di luna, senza che gliel’abbia chiesto mi dice il suo nome, che non è il Viki dell’annuncio, ma un suono strano e difficile da ricordare, Ayuba, o qualcosa di simile. A me mi puzza di Consuelo. Ma ormai ci sono. A lungo rimango indeciso tra le due, le guardo, le soppeso, nicchio, tentenno, valuto quale sia la meno peggio, ma l’hawajana Palla di Luna pur non essendo hawajana mi appare un pochino più desiderabile, di Vespasiana Cozzolin in arte Alexia – Alexia magra magra e lì che freme, che muore assurdamente dalla voglia, che mi sorride traboccante di me come volesse sposarmi. Vade retro, cocca. Sparire retro tenda, grazie. Loro approfittano della mia indecisione per propormi un triangolo racchiangolo, ma una cosa in tre costerà il doppio e io sono venuto col centone contato, e poi Vespasiana mi fa rimpisellire, allora diplomatico mi schermisco dicendo che non sono “così tanto stallone”. «Tre per un maschio solo è troppo», aggiungo. Non capiscono. Non si sono ancora accorte di Véronique.
Comunque sembrano piuttosto calme, come troie.
Come un sultano al mercato degli schiavi indico finalmente Palla di Luna, che tra l’altro somiglia alla moglie di un amico a cui una bottarella tra il lusco e il brusco in fondo in fondo la darei. Ma sì, sciolta l’indecisione, vada per Palla di Luna, la pseudo Viki non di Waikiki, e per l’immaginario da Corna Vissute. L’altra pare rimanerci male, ma tant’è, non sono mica al mondo per sfamare la famiglia Cozzolin. Sparisce retro tenda.
Palla di Luna mi sorride, dice Spogliati, spegne la tv, prende a svestirsi a sua volta, è simpatica e forse anch’io le sono simpatico, m’infastidisce soltanto il fatto che si metta a blaterare di un certo “regalino”: «Il regalino, prima il regalino», continua a farfugliare, mentre io mi avvicino e cerco di palparla un po’ da dietro, di saggiarne preliminarmente le carni, leccarle un po’ il collo. «Il regalino!» quasi si spazientisce, come se volessi fare il furbo e trombarmela gratis.
Con le femmine capita spesso, che invece di chiamarli “soldi” usino di questi mongoli eufemismi. A Véronique che tratta coi maschi e i trans non succede mai, ve l’assicuro. Pane al pane, soldo al soldo. La prossima che mi chiede “il regalino”, giuro che invece del centone le ammollo un pezzo di bigiotteria cinese da 2 ghelli, tanto per vedere che faccia mi fa.
[....]
Quando sto per andarmene, Palla di Luna mi sorprende ancora: scarta una mentina, se la mette in bocca, la succhia solo un po’, quindi con un bacio acrobatico e profondo la fa guizzare nella mia. Ipotizzo un possibile ritorno, e per dirmi va bene lei risponde: «Vale».
«Vale?», ripeto io, incredulo ma neanche troppo. «Di’ un po’ la verità, Consuelo: sei di Siviglia o di Madrid?»
«No me chiamo Consuelo. E te ho detto che sono hawajana, no?».
«A me sembri più castigliana. Non che ci siano problemi, ma gli spagnoli, dicono “Vale”».
Lei non si capacita della mia perplessità. Dice che le hawajane sono per l’appunto ispaniche, lo sanno tutti.
«A me risulterebbero più sul giapponese» le dico, «sul tahitiano».
«Le Hawaii stanno en America del Sud» m’informa Palla di Luna, incredula della mia ignoranza.
«Sì, domani» rispondo. Ma lo faccio sorridendo. In fondo, a chi importa dove sono ormeggiate le stracavolo di Hawaii? Lei sembra crederci davvero, che stanno nell’America del Sud. Perché deluderla facendo il saputello? Sulla porta ci mandiamo un bacino, e un ultimo sorriso.

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