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Atatürk (scheda di Francesco Marilungo)

Creato il 19 ottobre 2011 da Istanbulavrupa

Atatürk (scheda di Francesco Marilungo)(pubblicata il 9 novembre 2010 su Lankelot)

Sia anche con un po’ di gusto della provocazione che questa scheda sulla prima biografia italiana di Mustafa Kemal Atatürk, va on-line nell’anniversario della morte del suo protagonista, mentre nel paese si celebrano pomposamente le sue memorie e si esaltano con commozione le sue immense capacità; insomma nel giorno-emblema-rito di quella “religione civile” che è il culto di Atatürk in Turchia. Sono modestamente convinto infatti che gli amici turchi debbano aprirsi allo spirito critico (inteso non nella sua accezione negativa, ma in quella di discussione democratica e serena) verso il valoroso fondatore della Repubblica di Turchia. Parlare di Mustafa Kemal, poi menzionato come Atatürk (capostipite dei turchi), infatti non è solo parlare di un pezzo di storia contemporanea, non è solo scoprire il processo di formazione di uno stato moderno sulle rovine di un impero secolare, ma è anche e soprattutto riferirsi all’attualità, è studiare il volto contraddittorio di questo paese dimenantesi nel limbo di una rivoluzione compiuta solo a metà. La biografia di Fabio Grassi colma per il lettore italiano una lacuna ingiustificabile. Lo fa con l’accuratezza dell’opera di storiografia e con la leggerezza della narrazione, non sottovalutando mai, e anzi sottolineando, i collegamenti con la contemporaneità e anche, quando non guasta, con la storia italiana. Non conoscere Atatürk infatti significa non conoscere la Turchia. Egli è tuttora il paradigma di ogni ragionamento politico, di ogni problematica sociale e di ogni determinazione culturale. Ciò che ci viene incontro con questo libro non è solo la conoscenza della vita di un uomo importante della storia ma è anche “l’orizzonte mentale di un cittadino turco. Atatürk è la sua vita e la sua opera…, ma è anche, se non soprattutto, un’immagine e una presenza. Ognuno, in Turchia, ha il suo Mustafa Kemal pascià.” Anche il più distratto turista sa che in Turchia l’effigie di Kemal è dovunque, in ogni ristorante, in ogni luogo pubblico, in ogni casa. È previsto il reato di offesa alla memoria del pascià e, come alcuni sapranno, in Turchia YouTube è stato chiuso a causa di alcuni video che “sparlavano” dell’eroe. Ogni uomo di cultura può togliersi d’impaccio tirando fuori una citazione di Mustafa Kemal. È l’uomo che tutt’ora ispira i militari di uno degli eserciti più grandi del mondo. È come dice il suo cognome uno dei fautori dell’orgoglioso nazionalismo turco…Ma fermiamoci un attimo. Stando a quanto detto sin qui potreste forse esservi immaginati uno di quei classici profili di despota orientale, famosi sin dal tempo dell’impero romano; ma sbagliereste. Perché allo stesso tempo Atatürk è l’uomo del progresso, dell’acquisizione della civiltà occidentale; è l’uomo dei diritti delle donne, è l’avversario del fondamentalismo religioso e strenuo assertore del laicismo, è l’ammiratore dell’illuminismo e della scienza positiva; è l’eroe che con pochi mezzi si oppone alle forze imperialiste e le batte sul campo di battaglia da grande stratega; è abilissimo diplomatico e vincente uomo politico. È insomma l’uomo delle contraddizioni.

La sua carriera è quella di un militare di buone capacità. Nato a Salonicco, è vicino agli ambienti del gruppo dei Giovani Turchi, che maturano insofferenza nei confronti della sclerotizzata autorità del sultano, con ammirazione verso la civiltà Europea, Francia o Inghilterra a seconda dell’inclinazione giacobina o liberale. La carriera nei primi anni prosegue senza evidenziare particolari successi. Dopo alcuni incarichi, come quello in Libia contro l’Italia, alla soglia della prima guerra mondiale, allorché l’Impero Ottomano sigla la sua alleanza esiziale con la Germania, e mentre le minoranze anatoliche, in particolare gli armeni, vivono il momento più buio della loro storia, Mustafa Kemal si trova sulla rampa di lancio del successo. L’occasione è quella della resistenza turca all’offensiva dell’Intesa sugli stretti. Dopo la disfatta dell’Impero nel primo conflitto mondiale e gli accordi di spartizione dei territori ottomani da parte delle potenze europee, Atatürk si ritroverà a compattare il vecchio fronte rivoluzionario e con la costituzione dell’assemblea di Ankara Mustafa Kemal verrà a creare un vero e proprio potere parallelo al legittimo governo di Istanbul, che si mostrava privo di orgoglio nazionale e di forza di resistenza, in sostanza prono ai voleri delle nazioni imperialiste. L’invasione di Smirne da parte di truppe inglesi e greche è l’occasione che dà il via alla lotta d’indipendenza turca, guidata da Atatürk. Conclusa la guerra positivamente, con la riconquista dei territori controllati da Francia, Inghilterra, Russia, Grecia e Italia, Atatürk diverrà leader indiscusso (e qualora discusso abile e privo di scrupoli nello sbarazzarsi delle opposizioni) del nuovo stato e tenterà di porre in atto quella rivoluzione “culturale-mentale” che già da giovane andava delineando nei suoi appunti di diario.

Dopo aver combattuto l’occidente sul campo di guerra, Atatürk combatterà l’oriente sul campo della tradizione, facendolo in nome della cultura occidentale. Ecco allora il tentativo di dare maggiori diritti alle donne, lo svincolamento dello stato dalle influenze della religione, la rivoluzione della lingua e dell’alfabeto, per recidere il più possibile le influenze arabe e per sostenere quelle europee (in special modo francesi); ecco le campagne condotte, con la moglie al fianco, nei villaggi dell’Anatolia cercando di liberare le popolazioni dalle tradizioni e dalle superstizioni religiose, tribali, feudali, in cui erano impastoiate; ecco le rivoluzioni sartoriali, la volontà di accantonare i vecchi indumenti simbolo di arretratezza e di indossare quelli simbolo del progresso. Ma Atatürk, questo è il mio parere, correva troppo forte. Era difficile, quasi impossibile, che un popolo poverissimo e in gran parte analfabeta lo seguisse lungo un percorso di emancipazione dalla tradizione e dalla religione degli avi. È questo uno dei suoi errori, credo. Una carenza di realismo nel guardare alla società turca del tempo, un eccesso utopico, uno slancio forte sì ma non abbastanza da trascinarsi dietro un’intera popolazione. È questa la svista che genera la spaccatura sociale tuttora vivente in Turchia, per la quale una classe istruita, occidentalista e “kemalista”, vive con la pretesa di istruire la classe più povera e legata alla religione; spaccatura che crea, come efficacemente sottolineato da Grassi, non due classi sociali, ma quasi due entità antropologiche distinte che si guardano di traverso, rinfacciandosi da una parte “l’ignoranza” e dall’altra il tralignare dagli insegnamenti tradizionali.

C’è infine quella che Grassi definisce “la pagina più buia della biografia di Atatürk”, rimasta pesantemente in eredità all’attualità: la questione curda. Dopo le promesse del tempo di guerra e dopo la condivisione del popolo curdo con quello turco del crimine contro gli armeni, Atatürk non manterrà la parola. La parola d’ordine sarà quella della repressione. Repressione dell’identità curda nel tentativo di assimilarla quale cultura sorella e “derivativa” rispetto all’etnia e alla cultura turca. Morto Atatürk, la sua Repubblica continuerà fino ad oggi in questa sua ottusa ed etno-centrica politica di repressione e di assimilazione. Ma il discorso ci porterebbe troppo lontano, cerchiamo invece di concludere, quella che dev’essere giusto una scheda e non deve prendere il posto della bella biografia di Grassi.

Se, come fa Grassi, andiamo a cercare paragoni con la storia italiana, possiamo dire che Mustafa Kemal Atatürk è stato insieme Garibladi, Cavour e Mussolini. Garibaldi in quanto uomo d’azione militare e armi alla mano leader della guerra d’indipendenza turca; Cavour in quanto raffinato uomo diplomatico, politico astuto ed esperto nell’arte di temporeggiare e di sfruttare le alleanze internazionali; Mussolini in quanto, una volta assunto il potere, darà allo stato turco un’impostazione autoritaria incentrata sulla celebrazione e il culto della sua persona e basata su assunti etnico-nazionalisti propri di una presunta mitologia atavica. Tutto ciò però con la barra del timone sempre rivolta a occidente, verso il progresso e la civiltà, con l’intento di svecchiare quel popolo turco in cui lui vedeva nobilissime capacità e origini, ma che a suo dire era stato narcotizzato e relegato al di fuori della civiltà da un potere, quello del sultano, retrogrado e debole.

L’auspicio è, d’accordo con quello di Grassi, di vedere una Turchia che sappia far riferimento alle istanze migliori del suo fondatore, affrontandolo però in maniera de-ideologizzata e rimediando agli errori che, da uomo, egli compì.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE: Fabio Grassi è uno dei maggiori esperti italiani per quanto riguarda la Turchia. Diversi i suoi contributi prima di questa biografia; segnaliamo come i più interessanti per il lettore italiano i seguenti: -L’Italia e la questione turca 1919-1923; -Diplomazia segreta Italo-Turca dopo la prima guerra mondiale; -I profitti di un fallimento: Politica e Affari segreti dell’Italia in Turchia tra 1920 e 1923; -La Turchia nella politica francese e italiana fra le due guerre. Romano di nascita, Grassi vive e lavora da molti anni a Istanbul.

Fabio Grassi, “Atatürk. Il fondatore della Turchia Moderna”, Salerno, Roma 2008.



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