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Attentato a Parigi. Ora il via libera allo sciacallaggio.

Creato il 14 novembre 2015 da Postik @postikitalia

Chi sono gli sciacalli? Come agiscono? Nella nostra mente ancora legata ad immagini ataviche, seppur immersa nella multimedialità, lo sciacallo è un bieco criminale che razzia case abbandonate in fretta e furia dalla paura, dal panico, dalla guerra. Un losco personaggio acquattato nell’ombra della sua miseria umana pronto ad approfittare delle disgrazie altrui.

Ora immaginate una possibile evoluzione dello sciacallaggio, solo in apparenza più raffinata, ma altrettanto incline alla pronta, insensibile e puntuale violazione di ogni sentimento che viviamo. Uno sciacallaggio mediatico e politico lanciato sulle nostre coscienze impaurite e spaventate è quello che ci aspetta dopo la terrificante notte del 13 novembre a Parigi.

Lo abbiamo vissuto nel 2001 con l’11 settembre, con le stragi di Londra e Madrid, con l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo neanche un anno fa: le immagini ci subissano, la cronaca tanto serrata quanto spesso ipertrofica ci invade, e i commenti, le dichiarazioni, la rabbia e i dissensi ci inondano senza alcun freno e coerenza. Siamo spaventati … l’imminenza della tragedia ci porta a pensare e a provare di tutto: rabbia, dolore, risentimento, chiusura e  odio. Tutto è buttato lì, nel pentolone delle nostre paure messo a bollire sul fuoco lento della balìa mediatica.

A rimestolare il tutto loro, sempre presenti e puntualissimi … gli sciacalli. Tanti, tantissimi, troppi. Ognuno con il suo metodo, la sua tecnica di violazione propagandistica, populista e qualunquista.

C’è chi, cavalcando il sangue versato dalla follia, inneggerà alla chiusura delle frontiere, allo stato d’eccezione, alla ghettizzazione, e, forte delle paure più recondite risvegliate, alle espulsioni, alla guerra su tutti i fronti, una guerra – per chi ancora non se ne fosse reso conto – che è già in atto da tempo.

Altresì troveremo il buonista fintamente democratico, il sobillatore morale indignato e ferito che con una mano accarezza lo sdegno e la condanna e con l’altra ha armato, ed arma ancora, un nemico dell’umanità che in passato gli è servito per sovvertire tirannie, stati canaglia e millantati nemici della democrazia.  Quello che ha lasciato fare, ha coltivato, ha lasciato germogliare l’odio e il risentimento per anni, ora ci dirà che la reazione coordinata e serrata contro il terrorismo è una necessità per “riottenere” una pace in realtà mai esistita.

L’emergenza non è solo uno stato sociale, ma anche una condizione emotiva. E tutte queste tecniche di sciacallaggio mediatico non faranno altro che tenerlo alto, vigile e, secondo necessità, utile.

La parola “pace” ora sembra una bestemmia fuori luogo, un’utopia da accantonare per lasciare il posto a un “doveroso” dilagante e febbrile senso di giustizia che masticato a fondo ha tanto il sapore acre di un’utilitaristica vendetta.

La parola che dovremmo tenere alta più di tutte in questo momento è proprio quella che nessuno ha il coraggio di pronunciare per il timore di essere additato di  sinistro qualunquismo, di smidollata pavidità e, perché no … addirittura di filo-terrorismo. Pace.

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vignetta di Pietro Vanessi


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