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La crisi economica mondiale non risparmia proprio nessuno e , nonostante la stampa amica eviti accuratamente di metterlo in evidenza, sono soprattutto quelli erano stati elevati a eroi della nuovissima frontiera, riedizione avveniristica di quella Kennediana degli anni 60', a farne le spese.
Credo proprio di essere stato uno dei pochissimi nella blogosfera italiana ad aver sempre considerato Barack Obama "inadatto a governare gli Stati Uniti d'America", e i fatti cominciano oggi a darmi ragione.
Non che occorresse un genio per capirlo, che certamente il sottoscritto genio non è, ma bastava semplicemente attenersi ai fatti e non lasciarsi affascinare dalle belle storie, magari raccontate con l'occhio umido in stile veltronesco.
Se così si fosse fatto sarebbe stato facile rilevare l'inconsistente curriculum vitae del candidato alla presidenza Obama, un politico di seconda fila che in tutta la sua vita poteva vantare come solo attività pubblica quella di una genericamente definita di dirigente di un ente no profit. Una esperienza così scarna dell'amministrazione della cosa pubblica che faceva quasi diventare un gigante quella tanto sbeffeggiata Sarah Palin, almeno dai media liberali e illuminati, che era invece stata sindaco prima e governatore di uno stato non di secondaria importanza come l'Alaska.
Ma i tempi erano maturi per Barack Obama, il primo afroamericano (solo per metà però, anche se pure su questo si glissa volentieri) presidente degli Stati Uniti, investito della missione di ridare prosperità e felicità ad una nazione in preda a mille contraddizioni e sofferenze. L'opera di propaganda fu massiccia e basata sul racconto di una bella storia, una favoletta per bambinoni, pubblicata col titolo di "Dream from my father", un'autobiografia che più volte si è rivelata poco attendibile.
Credo che siano stati pochi i governanti ai quali sono state aperte linee di credito così ampie come quella accredidata a Obama, al quale fu addirittura attribuito un premio Nobel per la pace sulla fiducia, prima ancora cioè che prendesse qualche decisione che mettesse fine ai conflitti nei quali gli Stati Uniti sono coinvolti (cosa che non ha mai fatto). Il Tempo ha però inesorabilmente posto termine a fumosità e ambiguità mettendo a nudo le manchevolezze di una condotta presidenziale che non solo non ha invertito i rapporti tra il potere politico e le grandi banche internazionali, causa prima della crisi finanziaria mondiale, ma ha messo in essere delle riforme inutili e costose come quella del medicare che hanno aggravato lo stato della spesa pubblica e una serie di iniziative sostegno all'economia fallimentari.
Il fallimento obamiano è nei numeri usciti ieri, che illustrano una economia pressoché ferma, con un pil cresciuto soltanto dello 0,4% nel primo trimestre dell'anno e, soprattutto, una disoccupazione che è rimasta altissima, oltre il 9%, e che colpisce soprattutto le fasce del proletariato di colore, quelle che secondo il pedidente eletto obama avrebbero dovuto essere maggiormente aiutate durante il suo mandato.
Fresco di questi risultati propriamente non lusinghieri, oggi Obama si ritrova nella triste situazione di poter essere il primo presidente degli Stati Uniti a dichiarare la bancarotta dello Stato, se non riuscirà a trovare un compromesso con l'opposizione sull'innalzamento del tetto del deficit finanziario e, ancor di più, sul rientro dal debito pubblico, che sotto la sua presidenza è arrivato a cifre che fanno impallidire quello italiano.
Un altro mito rapidamente offuscatosi e infine tramontato è quello del primo ministro spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero, colui che per quasi sette anni è sto l'esempio da seguire, almeno secondo gli illuminati nostrani, in tutti i campi dell'agire, benché non poche volte si dovevano chiudere gli occhi davanti a fatti ben poco edificanti, come quando l'esercito spagnolo, unico in Europa, sparava addosso a chi tenteva di entrare illegalmente nel paese iberico.
Ma in fondo cosa eera poi qualche incidente alla frontiera di fronte alle riforme libertarie di Zapatero, il politico più amato dai comici di sinistra?
Il risultato delle allegre politiche dei costruttori del Paradiso in terra anche qui è impietoso: proprio ieri Zapatero ha annunciato le sue dimissioni e il ritiro dalla politica.
Lascia un paese in ginocchio, in preda ad una crisi economica figlia di un boom costruito sul debito e sulla speculazione edilizia, e con una disoccupazione al 20%, ma con la legalizzazione dei matrimoni tra omosessuali. Se fosse riuscito pure a legalizzare la marjuana per i comici de sinistra sarebbe stato pronto per la beatificazione.
Almeno Zapatero ha avuto il buon gusto di farsi da parte e lasciare che a cercare di risolvere l'intricata matassa della crisi spagnola, di nuovo sotto il tiro della speculazione intrnazionale, che colpisce a turno uno dei paesi mediterranei dell'Unione Europea, sia qualcun altro, un esempio poco seguito specialmente dalle nostre parti, dove al contrario non solo non si accetta di scomparire, ma si è pronti a ricicciare appena se ne presenti l'occasione.
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