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Attrarre, non mettere in fuga

Da Marcofre

D’accordo, si deve correggere. Alla fine questa pratica appare convincente. Però viene il momento di passare alla fase due. Vale a dire: correggere!

E come diavolo si fa?

Il rischio di imporre una propria particolare visione esiste eccome. La teoria è meravigliosa, la pratica pure, ma ha questo di potenzialmente dannoso. Che rischia di farci entrare nel mondo di chi scrive come un elefante in una cristalleria. Sono in molti infatti a dire “Si fa così”, oppure “Devi scrivere cosà”.

Chi agisce in questo modo piega a proprio vantaggio le inclinazioni altrui. Desidera produrre qualcosa che sia un omaggio a lui. Ecco perché insegnare qualunque cosa è pericoloso. Spesso si finisce per produrre fotocopie.

 

La villa era un edificio alto, bianco, massiccio, severo, e stava su un’altura brulla e tozza, in una vallata cupa, umida, silenziosa. 

 

Non ho niente contro gli aggettivi. Il punto è che spesso sono gettati sulla pagina con la certezza che il lettore capirà meglio.

Se io fossi il lettore di una simile storia, capirei, eccome, e infatti scapperei a gambe levate. Perché avrei il sospetto che una volta dentro la villa, lo scrittore passerebbe in rassegna oggetti e ambienti con la medesima abbondanza di termini che usa per descrivere l’arrivo alla villa del protagonista. Come prima stesura potrebbe andare bene, proprio perché si scrive di getto.

Lasciare le cose in questa maniera è un errore.

Il lettore, almeno quello che vuole una storia e non un inventario, e sa che una storia è comunicazione, non si capacita di tanta abbondanza. Certo, la villa di questo brano è esattamente così, ma per raccontare la realtà, devi manipolarla.

A questo punto che cosa succede? Entra in azione (o dovrebbe!) il N.O.C. (Nucleo Operativo Correzioni) per rimettere a posto le cose.

 

Mentre in carrozza il conte percorreva la vallata, scorse su un’altura un edificio bianco. Era la villa. 

 

È qualcosa di uguale al precedente, eppure diverso. Per prima cosa, c’è un verbo di movimento. È importante capire che usare un verbo di movimento, è un’ottima cosa. È un segnale che dai al lettore: ehi, succede qualcosa!

Non solo.

Introdurre un soggetto, fa capire che quel mondo non gira per conto suo, ma c’è qualcuno che lo abita e agisce. Fa da punto di riferimento. Si può fare di meglio, ma siamo sulla strada giusta.

Inoltre, un poco di buonsenso. Quando si scorge un edificio, prima ci colpisce (forse) il colore. O la sua forma. Mentre ci si avvicina, i dettagli emergono, e allora questi (con cautela, senza esagerare soprattutto), possono essere esposti. Scaricarli addosso al povero lettore, si ottiene solo di metterlo in fuga. E siccome non è un assedio che dobbiamo sventare, bensì attrarre, è meglio usare poche armi, ma le più efficaci.

 


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