Quando per la prima volta misi piede in Nuova Zelanda, Auckland era l’unica città di cui avessi mai sentito parlare. Pensavo fosse la capitale, in mancanza di rivali. Christchurch credevo fosse qualcosa che mi ero perso in Australia, Wellington un villaggio di pecore, e tutto il resto… bhè, altre pecore. Con il peso di questa ignoranza culturale riguardo il paese dove avrei vissuto per i successivi due anni, la decisione ideale fu utilizzare i primi mesi del mio soggiorno nella terra della grande nuovola per viaggiare, nel tentativo di capire a primo impatto quello che mi faceva troppa fatica leggere su Wikipedia. Le mie conclusioni si rivelarono poco lontane dalla realtà, le pecore erano davvero tante. E le città che possono effettivamente essere definite tali, veramente poche.
Quando arrivò il momento di stabilirsi, la mia prima scelta ricadde su Christchurch, principalmente per motivi logistico-geografici (ero lì vicino). Non era male CristoChiesa, con tutti i suoi giardini all’inglese, il mare a poca distanza, e l’atmosfera ottimista di una città che si sta risvegliando da un periodo buio. Ma proprio in quel momento, quando la sveglia stava per suonare, il sole per sorgere, un secondo terremoto eclissò la rinascita della capitale dell’isola sud, e constrinse me, di conseguenza, a scegliere una mata alternativa.
Per motivi economico-sociali (trovai un passaggio a gratis tramite un amico) questa volta scelsi Auckland, quella che si può considerare l’unica vera e propria città, secondo gli standard europei. A Auckland sopravissi una settimana, poi mi sentì costretto a muovermi di nuovo verso sud, a Wellington, che scoprì essere la capitale, non un (altro) villaggio di pecore. Come mai così poco? Perché Auckland proprio non fa per me. Con oltre un milione di abitanti contiene un quarto di tutta la popolazione del Paese, e la sua posizione è ideale per il clima, per gli spostamenti internazionali verso Asia e Australia, ma anche verso le isole del Pacifico, e infine per tutte le meraviglie dell’isola nord che si trovano a poca distanza. C’è la penisola del Coromandel, la Bay of Plenty, Waiheke Island, poco più a sud Rotorua, e così via, il tutto a un paio d’ore di macchina. E poi gli eventi, tutti i principali concerti passano da Auckland, qualsiasi spettacolo importante, prima di ogni altra città, arriva qui. Insomma, a carte sul tavolo, sembrerebbe la scelta da fare, il posto dove vivere. Se non fosse che, alla fine dei conti, la città fa cagare.
Girarla a piedi è un incubo. Non che nei posti non ci si arrivi, siamo sempre in Nuova Zelanda, niente è mai troppo lontanto, è che dopo che sei passato almeno una dozzina di volte in Queen Street, e attenzione, è impossibile non passare almeno una dozzina di volte al giorno da Queen Street, o ti è venuto il diabete passando davanti ai settecentoventiquattro McDonald’s che si susseguono uno dopo l’altro, o ti è passata la fame per gli altrettanti Burger King. “Per vivere ad Auckland ci vuole una macchina” mi dicono. Perché sì, uno viene in Nuova Zelanda dove tutto è verde, tranquillo e profumato e si piazza nell’unica città dove si rimane bloccati nel traffico. Si può prendere il traghetto però, per raggiungere una delle isole della baia. E da lontano, la Sky Tower, quella torre che si vede all’orizzonte mi piace anche, è un bel monumento. Ma togli la torre, cosa rimane? Niente, una ventina di palazzi grigi, sempre vuoti dopo le cinque di pomeriggio, che ti guardano spenti, annoiati. Intendetemi, non è che voglio parlare con i grattacieli, però dai, un po’ di entusiasmo. “Ma devi uscire dal CBD, vai nei sobborghi, scopri le aree più nascoste”. E ci vado a Ponsonby, ci vado a Mt. Eden. C’è una strada. Una strada soltanto. E ci sono dei bar. E finisce lì.
Anche da turisti la città non ha molto da regalare. La Nuova Zelanda è riconosciuta per avere alcuni degli ostelli migliori al mondo. Da nord a sud è facile trovare alloggi ben organizzati, puliti, e con carattere. Questo non vale per Auckland, dove si trovano i peggiori ostelli del Paese. Anche evitando le catene come Base e Nomads, la maggior parte degli ostelli del centro sono edifici anonimi, con camerate bianche riempite di letti fino all’ultimo centimetro quadrato. E le attrazioni? Nada (a meno che non si consideri il McDonald’s un’attrazione).
Sono stato un po’ cattivo, lo so. Chi ad Auckland ci vive mi racconta l’opposto, ma tanto si sa com’è, sono le persone che si incontrano a dare valore ad un luogo. Teoria che tengo ad avvalorare principalmente perché sostiene la mia tesi che Auckland è un posto di merda, e chi dice il contrario ha solo trovato gli amici giusti.