Teatro-Finocchiaro-Palermo-
Molti episodi affollano la mente, ancora lucida, di Aurelio Bruno, l’ultimo giornalista che circolò a piedi a Palermo, arrivando sempre per primo sul posto del “delitto”. Per questa sua capacità di muoversi velocemente, come un raro animale da fiuto nella giungla del crimine a Palermo e in Sicilia, dove probabilmente circolò sempre con mezzi di fortuna, Aurelio Bruno, classe 1922, si guadagnò la fiducia delle Forze dell’Ordine della città. Se la meritava perché, in realtà, è stato un uomo e un professionista sempre ligio al suo dovere, attento alla vita più o meno mondana o legata alla cronaca nera di quell’intrigato labirinto che era ed è Palermo. Tuttora, questo gagliardo ultranovantenne (92 a maggio prossimo) non riesce a separarsene, e bastano pochi stimoli, per suscitare nella sua mente memorie di un passato che non potrà più tornare.
Questa volta una ragione del ritorno alla Palermo di altri tempi Aurelio l’ha trovata. E magari fossero sempre questi gli “altri tempi” di Palermo. Il suo è il ritorno di tutti i palermitani alla speranza, al recupero della memoria, come successe col Teatro Massimo di Giovan Battista Filippo prima ed Ernesto Basile, poi, nel 1897.
E’ la prova di un attaccamento convinto perché Aurelio ha rivisitato gli anni della sua giovinezza, quando il Teatro che il marchese Finocchiaro volle costruire nella città di Ernesto Basile e del liberty, dei Ducrot e dei Cantieri operai alla Zisa, ora restaurato, fu e rimase un pregiato documento architettonico di una storia urbanistica e sociale che Palermo non poteva smarrire, com’era successo negli anni del sacco, ai tempi di Lima e Ciancimino. Testimonianza di un tardo liberty e di una cultura che aveva fatto della capitale siciliana, una delle capitali della cultura europea. Costruito nel 1922 questo edificio è un tassello della storia piccolo-borghese cittadina, del ceto medio palermitano, di cui anche il nostro Bruno è una prova vivente. Fu il cavaliere Emanuele Finocchiaro, industriale del cemento, a volerlo realizzare in quell’anno, su progetto dell’architetto Paolo Bonci. Mille posti a sedere e un tetto lucernario apribile. Un vero gioiello nella Palermo che si apprestava ad aprire le porte al fascismo.
La riapertura alla città del Teatro, nei cui pressi si davano abitualmente appuntamento gruppi di irriducibili appartenenti alla Decima Mas di Junio Valerio Borghese, è il frutto di una cultura che riconosce la sua vera identità. O forse la sua doppia vicenda sociale e politica. Vi si davano, dice Aurelio, venti spettacoli di varietà e sceneggiate napoletane. Vi recitavano parecchi attori di grido come Carmelo Oliviero di Catania, con la sua compagnia, e vi si esibivano cantanti come Alba de San Marcos, che quando vennero gli americani, se ne andò in mezzo alla strada a cantare. Ricordo – aggiunge Aurelio – anche la soubrette Anna Fougez. Io avevo un palco in prima fila; ma quando vennero gli Americani, la prima cominciò a cantare al Supercinema di via Cavour. Una delle sue canzoni di successo era “Caminito amigo”. Il teatro era stato reso inagibile dalla guerra ed era stato adibito a rifugio antiaereo. C’erano anche fratelli Petito, che facevano gli attori cinematografici e spettacoli teatrali. Molti ballerini si esibivano danzando il tip tap. Ricordo anche – continua il vecchio giornalista – che dopo la prima guerra mondiale, al Teatro si davano le pellicole con Tom Miksis (‘U forti) e il Traditore, e che seguivo con curiosità quelle che riguardavano gli assalti alle corriere, o le scene di western, o i film con Buck Jones, Wallace Beery, che recitò la parte di Pancho Villa, e infine Charlie Chaplin. Ma mi piaceva anche il varietà, e ricordo che per allietare gli intervalli, specie per noi ragazzi o giovanotti un tizio veniva a vendere le “castagne-caramela”.
La storia del Finocchiaro è un pezzo della storia della Sicilia e di Palermo. Tra tutti gli episodi che mi fanno ricordare il Teatro Finocchiaro – conclude il nostro giornalista – ce ne sono due che voglio brevemente raccontare – . Il primo riguarda una bambina di tredici anni che fu investita una volta dal tram n. 13 che da piazza Stazione Centrale arrivava a piazza Montepellegrino. L’altro riguarda Oliviero che mi impressionò una volta che ebbe a inseguire per i corridoi del Teatro con un coltello in mano sua moglie. Non so cosa sarebbe successo se non fossero arrivati i Carabinieri.
Giuseppe Casarrubea