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Austostima per i bambini: la storia di Clementina

Da Jessi
Arturo e Clementina

Arturo e Clementina

C’erano una volta una mamma e una bambina. Si erano incontrate su quella spiaggia qualche giorno prima, quando le uova si erano schiuse. Tutti i fratellini erano entrati in acqua, ma la piccola Clementina aveva sentito un pianto leggero leggero e si era fermata. Era la sua mamma che piangeva perché non voleva restare sola sulla spiaggia: “Resto io con te, mamma. Non piangere”, le disse.

Ogni giorno la piccola tartaruga vedeva i fratellini e le sorelline nuotare nel mare, ma lei restava sempre sulla spiaggia, ad aspettare la mamma che andava spesso a cercare il cibo o ad incontrare le altre mamme. Non era facile fare la brava bambina, per Clementina, ma era felice di fare compagnia alla mamma.

Un giorno, dopo aver passato tanto tempo da sola sulla spiaggia, Clementina si avvicinò alla mamma e le disse: “Sai, mamma, mi annoio un po’ qui da sola tutto il giorno…”

La mamma diventò scura scura. Era ferita e molto, molto delusa: “Annoiata?!? Ma trova qualcosa da fare, il mondo è pieno di occupazioni interessanti. Si annoiano solo gli sciocchi! ”. Clementina si vergognava di essere sciocca, ma si annoiava lo stesso.

La piccola cercò qualcosa da fare e, quasi senza accorgersene, cominciò a disegnare sulla sabbia. Disegnava la pineta che fermava il vento e i temporali. Disegnava i suoi biondi fratelli che conoscevano il mare. Ma la mamma le diceva sempre che poteva fare meglio: “Li hai disegnati male! Non vedi che i tuoi fratelli hanno le lentiggini, perché non le hai disegnate? E poi sono più belli, hanno le guance più rotonde, così!”

La piccola tartaruga pensò che la mamma disegnava proprio bene e che i suoi erano solo pasticci. E quel giorno decise che non avrebbe disegnato mai più.

Però erano così lunghe le giornate sulla spiaggia, ormai conosceva tutti i colori dei sassolini e tutte le forme che facevano gli spruzzi del mare contro gli scogli.

Pensò quindi di scrivere delle storie, bucando le foglie in un magico alfabeto che si inventò. Le sue storie parlavano di pesci veloci come gazzelle e di conchiglie parlanti. Una sera, chiese alla mamma se poteva leggerle una delle sue storie. La mamma ascoltò per un po’ con tanta, tanta pazienza, poi non ce la fece proprio più, erano così sciocche quelle storie: “Ma che ne vuoi sapere tu di pesci e conchiglie se te ne stai sempre qui sulla spiaggia a non far niente e non hai nemmeno il coraggio di entrare in mare come fanno i tuoi fratelli e le tue sorelle!!”

La piccola tartaruga si sentiva davvero stupida e inutile, tutti erano bravi in qualcosa, solo lei non faceva nulla dalla mattina alla sera: “Goditela- le diceva la mamma- prima o poi anche tu dovrai imparare a fare qualcosa”.

Quelle parole se le portava sempre dentro. E quando non ebbe più posto dentro di sé, iniziò ad accumularle sul suo guscio. Erano tante, tante, tante e diventavano sempre più pesanti.

Un giorno la piccola sentì che non riusciva davvero più a fare nulla e che non avrebbe mai potuto imparare nulla con tutto quel carico che si portava sempre sulle spalle.

Così provò a lasciarne un po’ dietro un cespuglio, un po’ dietro ad un altro. Mentre nascondeva qua e là nella pineta le parole della mamma, un giorno trovò, sotto un mucchio di foglie secche, una delle storie che aveva scritto tanto tempo prima. Rileggendola, pensò le piaceva, pensò che forse non diceva come i pesci e le conchiglie sono davvero, ma diceva che nei sogni le cose possono essere in tanti modi diversi.

Così, giorno dopo giorno, mentre nascondeva le parole della mamma e ritrovava le sue storie e i suoi disegni, la piccola tartaruga si sentiva sempre più leggera.  E più si sentiva leggera, più si sentiva felice, e più si sentiva felice più si sentiva forte. Ormai non ascoltava più quando la sua mamma le diceva che non era brava o che non sapeva fare qualcosa o che non era come i suoi fratelli che nuotavano nel mare. E giorno dopo giorno anche il mare le faceva meno paura, le sembrava sempre più vicino, le sembrava sempre più salato.

Fu così che una sera la mamma tornò dal suo solito giro con le amiche e non la trovo più. La cercò da tutte le parti, inutilmente. Quando arrivò la notte e si accesero le stelle, la mamma cominciò a temere di essere rimasta sola e diceva che non voleva rimanere sola e piangeva di un pianto forte, non come quello che aveva sentito Clementina, un pianto vero.

La mattina dopo, cercando e cercando, trovò un mucchio di parole sotto un cespuglio, poi altre, altre ancora e allora capì.  Grido’ al vento che sua figlia era un’ingrata, che aveva gettato via tutti i suoi consigli e che sicuramente sarebbe finita male e sarebbe stata infelice. Ma la tartarughina non poteva più sentirla, ormai.

Se ti capita di vedere una tartaruga felice che salta leggera tra le onde prova a chiamarla Clementina, forse ti risponderà. Anche se non posso assicurartelo, perché da allora sono tante le tartarughine che hanno deciso di essere felici. E, chissà, forse nemmeno la mamma è rimasta sulla spiaggia: stanca di urlare al vento, ha imparato dai suoi piccoli a saltare felice e se ascolti bene la puoi sentire che ride insieme loro, quando arrivano le onde.


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