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Australian Open: volano Bolelli e Fognini, ecco le finali

Creato il 30 gennaio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Outsider che tornano sulla terra, i soliti noti in finale. Ecco il responso delle semifinali degli Australian Open 2015. Sulla Rod Laver Arena toccherà per la terza volta in finale a Djokovic-Murray e per la seconda a Serena Williams-Sharapova, duelli classici del tennis contemporaneo, riproposti con i favori del pronostico pendenti dalla parte dei leader delle classifiche ATP e WTA. Stanislas Wawrinka non ripete l’impresa e si scioglie al (solito) quinto set contro il serbo, meno sciolto e più vulnerabile del solito; Berdych manca ancora di cattiveria e si lascia sfuggire un’altra occasione non impossibile per far quadrare il cerchio di una carriera che appare incompleta; Keys e Makarova si fanno invece da parte e lasciano tutta la scena alle regine incontrastate. E c’è anche un po’ di Italia rimasta in vita.

I personaggi su cui vogliamo prima soffermarci sono infatti i componenti della coppia che nella mattinata di domani si giocheranno una buona fetta della storia del tennis italiano. Simone Bolelli e Fabio Fognini hanno fatto valere le caratteristiche complementari dei loro stili di gioco e hanno eliminato le teste di serie numero 6 Jean-Julien Rojer e Horia Tecau con un combattuto 6-4 3-6 6-3. Grazie a questo risultato, dopo quasi cinquantasei anni, una bandierina tricolore sarà presente nel contesto di una finale Slam di doppio maschile, impresa riuscita solamente a Nicola Pietrangeli ed Orlando Sirola per ben tre volte negli anni cinquanta, con un titolo conquistato al Roland Garros e altre due sconfitte. Gli avversari degli azzurri saranno i francesi Herbert e Mahut, duo a sua volta eterogeneo per tecnica, ma anche per età, che ha eliminato i finalisti dell’ultimo Master, Dodig/Melo, per 6-4 6-7 7-6. Il ventitreenne Herbert è al debutto all’atto conclusivo in un Major, mentre il suo più esperto compagno, celebre per la maratona contro John Isner a Wimbledon nel 2010, ha già perso una finale Slam, un paio di anni fa a Parigi, deludendo le aspettative dei tifosi di casa e cedendo insieme a Michael Llodra a Bob e Mike Bryan. In caso di trionfo italiano, il 2015 diventerebbe il sesto anno solare consecutivo in cui il nostro paese riesce ad imporsi in almeno un torneo Slam tra i dodici disponibili nella stagione e, dopo le imprese leggendarie di Sara Errani e Roberta Vinci e le grandi affermazioni, leggermente più datate, di Francesca Schiavone e Flavia Pennetta, si smuoverebbe finalmente il tabellino all’interno del settore maschile per continuare una striscia che non ha precedenti nella storia del nostro tennis.

Nole Djokovic dice quindici, come le finali Slam in carriera, e, fattosi recuperare in due riprese il vantaggio di un parziale, si aggiudica la semifinale più desiderata, costringendo Stan Wawrinka ad arrestare la difesa del suo titolo targato 2014. Non c’è stato lo show a cui questi due campioni avevano abituato sul centrale di Melbourne Park, ma c’è stato ad ogni modo un match molto teso ed emotivo, vinto dal numero 1 del mondo con lo score di 7-6 3-6 6-4 4-6 6-0.

Niente di speciale né di memorabile quanto gli ultimi precedenti, dunque, ed il primo set ricco di errori è stato una corretta avvisaglia di come poi si sarebbe svolto il gioco nel prosieguo. Wawrinka non è tipo da resa immediata e lo si capisce dal secondo set, conquistato con un lampo d’autorità in un traballante turno di servizio dell’avversario. Djokovic riesce a breakkare (da 40-15) l’elvetico, nel momento chiave del terzo parziale, aggiudicandoselo in quel decimo game, ma invece di dare gas e staccare il rivale, il serbo non riesce a colpire neanche un vincente nell’intero quarto set e Stan the man torna in carreggiata, per approdare alla ormai costante del parziale decisivo. Ma lì si spegne e si prende un cappotto, che fa da netto contraltare alla quantità industriale di game disputati tra i due nei quinti set del 2013 (12-10 per Nole) e del 2014 (9-7 per Stan) nella medesima cornice. Per il serbo si tratta della quinta finale negli Australian Open ed il record per adesso è rimasto immacolato, con due vittorie su Murray, una su Tsonga e quella indimenticabile del 2012 contro Nadal.

Andy Murray, da parte sua, ha mostrato sin dal debutto in questi Australian Open di essere tornato un cavallo da corsa e ha proseguito dritto per la sua strada, senza farsi scomporre nemmeno dalla schiera di sostenitori che si era unita in favore di Tomas Berdych in seguito alla roboante vittoria dei quarti di finale contro il maiorchino. Ci sarà quindi il quarto atto conclusivo a Melbourne per lo scozzese, che avrà l’opportunità di sfatare la maledizione che l’ha visto uscire malconcio nel 2010 per mano di Federer e nel 2011 e nel 2013 sotto i colpi di Djokovic, che solo in quest’ultima occasione concesse un set al britannico. Berdych, da parte sua, combatte e si dimena, ma non riesce a scrollarsi di dosso la fama di perdente nelle situazioni clou dei tornei più rinomati: il 6-7 6-0 6-3 7-5 subìto da Murray costituisce l’undicesima sconfitta prima della finale su dodici qualificazioni ai quarti (l’unica finale raggiunta, Wimbledon 2010, fu un dominio incontrastabile del solito Nadal).

Le semifinali femminili hanno avuto invece poca storia nel loro svolgimento e producono la finale tra le due giocatrici più in forma del momento e le più adatte alla superficie di gioco di questi Australian Open. Serena Williams ha conquistato la finale Slam numero 23 in singolare della sua strepitosa carriera, nonché la 40esima aggiungendo doppio e doppio misto  (superate le 39 del mito Chris Evert), grazie alla vittoria per 7-6 6-2 su Madison Keys, quattordici anni più giovane, alla prima semifinale di questo spessore. Serena sembra essere una macchina distruttrice, specialmente per le eccellenti percentuali in battuta, e la sua concretezza nei punti decisivi, come quelli del tie-break del primo set nell’ultima sfida, continua a darle quell’aura di imbattibilità che circonda solo gli sportivi più dominanti nei rispettivi campi.

Ne sa qualcosa la sua avversaria di domani, Maria Sharapova, che pur essendo arrivata in questa occasione a quota dieci finali nei tornei del Grande Slam, non si impone sulla minore delle sorelle Williams da più di dieci anni, ossia da quando era ancora la teenager che sconvolse il mondo del tennis, conquistando Wimbledon a diciassette anni appena compiuti. Le ultime quindici sfide tra le attuali prime due della classifica WTA sono infatti andate tutte dalla parte dell’americana, tra cui il clamoroso 6-0 6-1 in finale a Londra 2012 e altre due finali importanti (Australian Open 2007 e Roland Garros 2013), mentre a Masha restano le uniche due vittorie del 2004, che comunque le valsero i Championships ed il Master di fine anno. Sharapova, contro le ipotesi di molti esperti, ha nuovamente passeggiato sulla connazionale Makarova con lo score senza appello di 6-3 6-2, causato soprattutto dal differenziale di -18 (undici colpi vincenti e ventinove errori non forzati), con cui la numero 10 del mondo ha chiuso la partita. La moscovita si arrende per la sesta volta su sei alla più quotata connazionale, ma con questo lungo e convincente cammino a Melbourne Park si inserisce sempre più a buon diritto nell’élite della Top 10 WTA, conquistata un po’ a sorpresa sul finire della scorsa stagione.

Un ultima postilla sull’appuntamento più ignorato e bistrattato: il doppio misto. La finale di domenica vedrà affrontarsi le coppie Hingis/Paes e Nestor/Mladenovic. E in campo saranno presenti ben 43 titoli complessivi in tornei Major (15 per la Hingis, 14 per Leander Paes, 12 per Daniel Nestor e 2 per la Mladenovic), su un totale di 84 finali tra singolare, doppio e doppio misto. Raro vedere un incontro con così tanti allori contemporaneamente in campo, se pensiamo che Djokovic-Murray ne presenterà “appena” 9 e S.Williams-Sharapova 38, ma con lo straordinario contributo dei 33 della statunitense!

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