Foto | Listening To The Sound of Peace Under The Sunset
Due strade portano alla felicità. La prima consiste nell’avere molto, la seconda nel desiderare poco.
Proverbio Zen.
La frase che avete appena letto (che potrebbe essere imprecisa, dal momento che la riporto a memoria) mi è sempre piaciuta moltissimo. Sintetizza perfettamente l’eterno equilibrio da trovare tra “avere” ed “essere”, equilibrio che non smetteremo facilmente di ricercare sino a che non saremo nella tomba (che menagramo, Andre!) sino a che non saremo vecchi e felici e circondati dall’affetto dei nostri nipotini.
Certo, col passare degli anni, con l’accumularsi dei capelli bianchi e del tessuto adiposo intorno al girovita (no, giuro che a fine articolo non troverete uno “sponsored link” su qualche crema anti-invecchiamento), tenderemo probabilmente a sbilanciarci verso una strada piuttosto che un’altra. Ma credo che sulla virtù, l’illuminazione (per usare un termine zen), ci abbiano azzeccato gli antichi: sta nel mezzo.
Avere molto: non esaltiamolo, non demoniziamolo.
Sebbene tutti siamo d’accordo sulla maggiore importanza di “essere” rispetto ad “avere”, non mi piace demonizzare quest’ultimo. Insomma, penso che se tutti fossimo perfettamente illuminati (no, non nel senso di avere costantemente dei fari puntati addosso), se tutti fossimo infinitamente saggi, se tutti avessimo raggiunto una solida pace interiore non avremmo bisogno di “avere” nulla. Ma non è così.
La vita è fatta anche (se non soprattutto) di piccole soddisfazioni. Le soddisfazioni più profonde derivano dall’ambito relazionale: amore, famiglia, amicizie. Altre soddisfazioni importanti arrivano dall’ambito, per così dire, intellettivo: la cultura, la conoscenza, lo studio. Esistono poi soddisfazioni enormi date dal raggiungimento degli obiettivi (una laurea, una promozione, il primo pomodoro dell’orto) e potremmo continuare quasi all’infinito nel lungo elenco delle fonti di soddisfazione. Tra queste fonti non dobbiamo dimenticare quelle “materiali”: avere una casa, avere un’auto, avere un pc oppure qualsiasi cosa desideriamo.
In fondo se lavoriamo (chi ha la fortuna di poterlo fare) è proprio per avere il denaro (oltre che la soddisfazione propria del lavoro, chi ha l’immensa fortuna di avere un lavoro soddisfacente) per acquistare ciò di cui abbiamo bisogno (già, ma di “quanto” denaro abbiamo bisogno?): a partire dal cibo e da un tetto sotto cui dormire, passando dagli abiti per coprirsi sino a giungere all’ultimo modello di iPad. La vera discriminante sta nell’atteggiamento con cui acquistiamo.
Quanta importanza diamo agli oggetti? Tralasciamo i casi limite come il consumismo ossessivo o lo shopping compulsivo e concentriamoci sul “nostro” atteggiamento rispetto alle cose che ci circondano. Purtroppo non ho comode ricette da offrirvi (né, ahimè, un vantaggioso e-book da vendervi): l’equilibrio è dinamico e soggettivo, e va ricercato nel profondo di ognuno di noi: prendete del tempo per pensarci, guardatevi dentro senza difese né maschere e provate a chiedervi quanto siete realmente soddisfatti del vostro rapporto con ciò che avete, con ciò che comprate, e quanto questo influisce sul vostro grado di felicità. E ricordate che il buon senso è un compagno indispensabile nella ricerca dell’equilibrio interiore.
Desiderare poco: la via della felicità.
Beh, non nascondo di avere una certa predilezione per questa strada. È il metodo più sicuro, dal momento che nessuna circostanza della vita potrà mai togliervi ciò che NON avete.
Ricordo (sempre a memoria) che quando chiesero a S. Francesco perché avesse scelto di sposare la povertà questi rispose: “Perché se avessi delle proprietà dovrei armarmi per difenderle”. Beh, senza scomodare troppi santi, il concetto è che accumulare “ricchezze” e mantenerle costa molta più fatica mentale, molto più stress, che semplicemente accontentarsi di ciò che si ha.
Salvo rari casi, ed eccetto necessità oggettive (come un’automobile cabriolet), il limite tra ciò che è necessario e ciò che è superfluo lo poniamo noi stessi. Quante volte ci siamo ritrovati a domandarci come si faceva a vivere 20 anni fa senza i telefoni cellulari? Ancora una volta dovremo affidarci al buon senso e cercare un equilibrio difficile da trovare: poco senso ha la ricerca ossessiva di povertà tipica, per esempio, di certe pratiche religiose. Trovo molto più adatta una serena e profonda, quanto semplice, soddisfazione per ciò che già si ha.
Ora questo articolo potrebbe prendere una piega esistenzial-filosofica da paura, e domandarsi fino a che punto sia possibile (e giusto) “desiderare poco” anche negli ambiti non-materiali come quello degli affetti o del raggiungimento degli obiettivi. Mi chiederei, a questo punto, DOVE sta l’equilibrio tra “avere molto” e “desiderare poco”, dov’è quel punto preciso e sfuggevole che ci ostiniamo a chiamare felicità.
Ma non lo faccio. E lascio ai commenti (se vi va, eh, non sia mai che poi dite in giro che vi obbligo) l’onere di approfondire una così importante questione.
Questo articolo è stato scritto da Andrea Ciraolo.