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Avere sessanta anni ed essere precari

Da Brunougolini

Avere sessanta anni ed essere precari
Capita che molti cinquantenni o sessantenni rimangano impigliati nelle maglie della crisi. Ed ora, visto che il miraggio della pensione, con le nuove moderne riforme, si è via via allontanato, sono costretti ad accettare lavori ballerini. Non è solo una supposizione scaturita da testimonianze di vita vissuta. Compare anche nelle statistiche ufficiali. Lo racconta Patrizio Di Nicola (Università La Sapienza) nella ricerca «Lavoro a perdere: meno reddito, meno occupati», presentato nei giorni scorsi dall’«Osservatorio dei lavori associazione 20 maggio-Tutelare i lavori». Scopriamo così che sono aumentati di molto (per il 73 per cento) i lavoratori con oltre i 60 anni che hanno aperto una partita Iva. Una forma di lavoro che «diventa anche una delle poche vie d’uscita per chi è espulso dal lavoro dipendente in età adulta o per chi continua a lavorare dopo la pensione».
Se i sessantenni vanno alla ricerca del lavoro perduto, i giovani sono quelli che stanno peggio. Le sopradette riforme hanno colpito anche loro. Così dei 250mila posti di lavoro atipici persi in 6 anni, circa 150mila sono di giovani sotto i 29 anni. Certo è la crisi, il recesso produttivo, che miete vittime. Però è stata data una mano a questo andamento negativo. Quei posti di lavoro sono stati cancellati anche perché c’è stato «l’aumento fissato per legge degli oneri sul lavoro a progetto, non accompagnato da politiche di sostegno alle imprese per trasformare le collaborazioni in lavoro stabile conveniente». Insomma la ministra Fornero ha cercato di costringere alla stabilizzazione certi rapporti di lavoro, ma non ha sostenuto gli imprenditori in questa trasformazione. Così invece di una trasformazione c’è stata una cancellazione. Ecco perché, dicono gli estensori della ricerca sui cambiamenti nel pianeta dei lavoratori atipici iscritti alla cosiddetta gestione separata Inps, occorre modificare innanzitutto quelle norme.
Altri dati rivelanti riguardano le buste paga. I redditi medi già bassi di questi atipici passano, da 18.836 euro del 2011 a soli 15.511 nel 2012. Un taglio netto. Con le donne che, a parità di lavoro, guadagnano 11.365 € lordi annui in meno rispetto ai maschi. Se si guarda alle sole partite Iva si osserva che nel 2011 il reddito netto annuo era di 9.794,72 €, mentre quello mensile era di 816,22 €. Il reddito netto medio nel 2012 è di 8.065,72 € annui, pari a 672,14 € mensili.
Con tali sempre più dimagrite buste-paga il popolo atipico deve far fronte ad alte contribuzioni Inps fino a raggiungere quota 33 per cento. Scrivono gli autori: «Non si può condividere una scelta che abbassa il netto disponibile di un lavoratore che ha un reddito lordo di 1.000 euro al mese dai 545 € attuali a 485 € mensili, o che riduce il netto di chi guadagna 2.000 euro lordi dagli attuali 960 a 840 € netti mensili. Anche per questo è stata lanciata, per le partite Iva “esclusive”, una petizione che chiede di “bloccare subito l’aumento previsto e di fermare al 27% i contributi Inps”».
Sono temi sui quali sono intervenuti anche i tre sindacati che si occupano degli atipici: Felsa-Cisl. NIdil-Cgil, Uil- Tem.p@. Chiedono che «la condivisibile parità contributiva del 33% con il lavoro dipendente non si traduca in un onere a carico dei lavoratori parasubordinati superiore a quello pagato attualmente dai dipendenti». Inoltre si propone «una sterilizzazione della parte aliquota a carico del lavoratore, riversandola sul committente, fin da gennaio 2014».
Ha commentato Claudio Treves nuovo segretario generale del NIdil-Cgil): «L’idea è quella che, a risorse e normative date, quindi con la gradualità verso il raggiungimento di una soglia contributiva uguale per tutti i lavoratori al 33%, ci si debba misurare sulla necessità di garantire a tutti i lavoratori pensioni dignitose e tutele nel caso in cui ricorrano gli eventi di maternità e di malattia, o nei casi di perdita del lavoro. Siccome la Gestione separata è una “gallina dalle uova d’oro” che annualmente produce un avanzo di 7 mld e patrimonialmente ne ha uno di 80, ci è sembrato percorribile, senza introdurre aggravi di costi sui lavoratori, anzi riducendo il costo per le partite Iva con dei meccanismi di riparto, assicurare a tutti i lavoratori tutele più adeguate». Buone proposte da sostenere col necessario impegno. Anche per sfatare una campagna che è diventata senso comune e che dipinge il sindacato come difensore dei soli detentori di posti fissi via via decrescenti.

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