Nell’estate del 1991 muore un mondo fatto di spandex e capelli cotonati, ritornelli sbarazzini e sesso facile. Resta la droga, ma non è più questo gran divertimento. L’edonismo spensierato degli anni ’80 soccombe al micidiale uno-due rappresentato dall’uscita a stretto giro di Ten e Nevermind. L’epitaffio fu l’inutilmente elefantiaco Use Your Illusion dei Guns’n’Roses. L’ultimo colpo di coda prima del crollo fu invece lo straordinario exploit degli Skid Row, che nel giugno di quell’anno videro il loro secondo album, Slave To The Grind, schizzare in cima alla classifica di Billboard. Era dai tempi di Metal Health dei Quiet Riot che un disco hard’n’heavy non finiva al primo posto, sostiene Wikipedia. Hair metal (o street o glam o come accidenti lo vogliamo chiamare), indurito rispetto all’esordio omonimo ma pur sempre hair metal. Un filone già esaurito del quale Slave To The Grind si rivelò il definitivo capolinea.
All’improvviso nessuno sembrò avere più voglia di sentir cantare di donnine allegre e macchine veloci lanciate contromano sul Sunset Boulevard. Chi non desiderava sentirsi introspettivo e depresso a tutti i costi, avendo tuttavia gusti troppo mainstream per tuffarsi nel ribollente calderone death/black, trovò un faro nei Pantera, che nel ’94 sbancarono a loro volta la hit parade americana con Far Beyond Driven. Passato l’hangover, dopo una simile sbronza di successo, e già pesantemente lacerati dai conflitti interni, i ragazzacci del New Jersey iniziarono a domandarsi da che parte stare. Da Slave To The Grind erano passati oltre tre anni e un altro ellepì toccava tirarlo fuori. Sennò chi le sente le legioni di ragazzine che si erano innamorate del frontman Sebastian Bach, uno dei sex symbol maschili indiscussi dell’epoca, sulle note di Youth gone wild. La Atlantic, fiduciosa, li mise in mano a Bob Rock, non l’irascibile spalla di Alan Ford ma l’uomo dietro il Black Album dei Metallica. Il risultato fu un suicidio talmente clamoroso da suscitare una sorta di perversa fascinazione, un po’ come Cold Lake dei Celtic Frost.
Allora fu stilata quasi all’unanimità la diagnosi di panterite, un morbo in quel momento all’apice della virulenza (ricordate i Fight di Rob Halford? Beh, credo non ami ricordarli nemmeno lui) e si disse che Subhuman Race non andò come sperato perché era di moda il grunge. In realtà, al netto delle chitarre incattivite e stoppate, già dalle iniziali My Enemy e Firesign si capisce che l’intento è quello di fare il verso ai Soundgarden, senza purtroppo averne né l’ascendenza zeppeliniana genuina, né le capacità tecniche. Ecco cosa succede a voltare le spalle alle ragazzine. L’imbarazzante singolo Breakin’ down è una specie di parodia cafona dei Pearl Jam. Quando si incazzano e tirano fuori quell’acredine punk che li rendeva diversi dai gruppi di Los Angeles arrivano quasi a funzionare (Bonehead, la title-track) e quelle cinque o sei canzoni carine da minimo sindacale ci sono. I dischi nati sbagliati non sfuggono, però, mai al loro ineluttabile destino. Non vendette male. Ma non vendette abbastanza.
Un mese dopo averlo preso, tornai a restituirlo nel negozietto di dischi usati a Piazza Galilei (uno dei primi che chiusero a Cagliari). Lo cambiai con Sacrifice dei Black Widow, mi pare. L’ho riascoltato prima di scrivere questo articolo e sinceramente non me ne sono pentito.
Lo scioglimento fu questione di poco. Iniziò subito la solita patetica trafila di scambi d’accuse reciproci e side-project sfigati che diventano all’improvviso più importanti del gruppo principale. Sebastian Bach, forte di uno zoccolo duro di fan, iniziò una carriera solista che prosegue ancora oggi. Ogni tanto si guadagna un titolo su Blabbermouth per aver sfasciato un locale o mandato affanculo qualcuno. Gli Skid Row si riunirono nel ’99 con tale Johnny Solinger alla voce. Pubblicheranno ancora due dischi, che non ho avuto voglia di ascoltare: Thickskin nel 2003 e Revolutions per Minute nel 2006. Dopodiché non hanno fatto più nulla. L’anno scorso li ho visti piazzati a ora di pranzo nella bill dell’Hellfest e mi è venuto il magone per loro (Ciccio Russo).