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Avevamo dato i THE HAUNTED per morti. Ci eravamo sbagliati

Creato il 21 gennaio 2014 da Cicciorusso

Swedish+fan+holding+the+flag+in+Kiev

Non avrei scommesso un dollaro dello Zimbabwe su un ritorno dei The Haunted, che nell’autunno 2012, dopo essersi separati in maniera ben poco amichevole da Peter Dolving (che aveva rilasciato dichiarazioni piuttosto pesantucce al riguardo), avevano visto il batterista Per Møller Jensen e il chitarrista Anders Björler gettare la spugna simultaneamente, lasciando l’altro gemellino, il bassista Jonas Björler, e l’altro chitarrista, Patrik Jensen, soli soletti a raccogliere i cocci. Io, che sono un inguaribile dietrologo, mi stavo già rassegnando a vedere gli At The Gates pubblicare un nuovo album di inediti, anche perché Tompa, nel frattempo, aveva fatto sapere di non essere per nulla contrario all’idea (Lucifero ce ne scampi e liberi). E invece, piano piano, i due superstiti sono riusciti a rimettere in piedi la baracca, richiamando a bordo sia Marco Aro (che cantò nel periodo successivo al primo allontanamento di Dolving e si era fatto da poco rivedere in giro con gli interessantissimi The Resistance, la nuova band di Jesper Strömblad) che Adrian Erlandsson, l’uomo che aveva aperto nuove frontiere della sospensione di incredulità dilapidando il credito accumulato grazie a Slaughter Of The Soul con la sua carriera da figurante nei Cradle Of Filth e che negli ultimi tempi aveva trovato pace suonando la batteria per i Paradise Lost. All’altra chitarra è arrivato invece Ola Englund dei prolifici quanto noiosetti Feared, che l’anno scorso aveva, chissà perché, fatto capolino pure nella line-up di Unborn dei Six Feet Under.

A mo’ di test per la nuova formazione, è appena uscito un nuovo singolo e – sapete? – non è davvero niente male. Come prevedibile, l’ammorbidimento di album come The Dead Eye e Unseen (che a me non era manco dispiaciuto) è stato lasciato alle spalle. Eye of the Storm potrebbe tranquillamente essere uscita da uno dei dischi dell’epoca Aro. Le influenze thrash/hardcore restano sullo sfondo: ariose melodie svedesi, un bell’assolone, ritornello che ti si stampa in testa al primo ascolto. Come B-side troviamo la più pestona The Infiltrator e My Enemy, incazzatissima scheggia di meno di un minuto. Li avevo dati per morti. Lieto di essermi sbagliato.



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