Gioconda detta Giò ha trentacinque anni, una storia familiare complicata alle spalle, un’anima inquieta per vocazione o forse per necessità e un unico, grande amore: Leonardo. Che però l’ha abbandonata. Smarrita e disperata, si ritrova a vivere a casa dei suoi nonni, morti a distanza di pochi giorni e simbolo di un amore perfetto. La notte di San Valentino, Giò trova un biglietto che sua nonna aveva scritto all’angelo custode, per ringraziarlo. Con lo sconforto, ma anche il coraggio, di chi non ha niente da perdere, Giò ci prova: scrive anche lei al suo angelo. Che, incredibilmente, le risponde. E le fa una promessa: avrò cura di te. L’angelo ha un nome: Filemone, ha una storia. Soprattutto ha la capacità di comprendere Giò come Giò non si è mai compresa. Di ascoltarla come non si è mai ascoltata. Nasce così uno scambio intenso, divertente, divertito, commovente, che coinvolge anche le persone che circondano Giò. Uno scambio che indaga non solo le mancate ragioni di Giò: ma le mancate ragioni di ognuno di loro. Perché a ognuno di loro, grazie a Filemone, voce dell’interiorità prima che dell’aldilà, sia possibile silenziare la testa e l’istinto. Per ascoltare il cuore. Anche e soprattutto quando è chiamato a rispondere a prove complicate, come quella a cui sarà messa davanti Giò proprio dal suo fedele Filemone, in un finale sorprendente che sembrerà confondere tutto. Ma a tutto darà un senso.
Mi sono avvicinata a questo testo sapendo già quello che molto verosimilmente avrei trovato e ne ho ricevuto conferma. Il “duo” affermato non poteva non incuriosire, l’idea tutto sommato era originale ed è stata affrontata con garbo, permettendo un amalgama quasi perfetto tra le due voci che si alternano attraverso il ricorso alla forma epistolare, e il finale “felice” di certo solleva l’animo. Sicuramente, a mio avviso, si assiste a un livellamento sintattico e contenutistico che sembra trovare la propria ragione d’essere nel citazionismo imperante nei social network, e si ha la sensazione che non si voglia, non si possa, o non si sia in grado di approfondire. Tutto è lasciato in superficie e si preferisce inanellare una serie infinita di ovvietà e di banalità che intristiscono per il modo in cui sono state inserite, quasi a forza, in questo prodotto editoriale che avrebbe potuto, e dovuto, regalare di più e meglio.