Babil On Suite: una Scatola Piena di Sorprese

Creato il 19 dicembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

«Per fare un tavolo, ci vuole il legno» recitava una vecchia canzone per bambini cantata da Sergio Endrigo e scritta da Gianni Rodari. Per i fare i Babil On Suite ci vuole invece una scatola, o meglio, La scatola. Proprio questo è il nome del primo album, uscito il 30 ottobre 2012 per l’etichetta Viceversa Records / EMI, della band catanese Babil On Suite. Il progetto di Caterina, Giuseppe, Salvo e Manuele nasce nel 2007 a Catania, città da sempre nota per le sue bellezze artistico-culturali, ed anche per la scoperta di importanti personalità in ambito musicale. Dopo un primo EP prodotto nel 2009 da Lucio Dalla, ed aver partecipato a numerosi concorsi come l’Etna Rock e il Mei, vincono il primo premio e il premio della critica al Lennon Festival. Vengono poi scelti da Lucio Dalla per aprire i concerti di Lucio Dalla & Friends insieme a nomi noti come Mario Venuti e Samuele Bersani. I Babil On Suite sono un mix di quattro personalità forti e singolari; il loro primo disco, La scatola, è composto da nove tracce che catapultano l’ascoltatore tra le righe di testi che si possono tranquillamente definire squarci del mondo odierno. Il primo brano del disco è Vienimi a trovare ad Amsterdam: un suono rétro per un testo colmo di consapevolezza e senso di amarezza, quello che si prova ogni qual volta si è vittime di un abbandono; la sensazione che prova chi lo ascolta si ferma «nell’armadio di vestiti usati» e nelle abitudini di chi cerca di cambiare vita. Il secondo pezzo, Spirito divino, rimane interamente attaccato al titolo per tutti i suoi 4:12 minuti di esecuzione. Con un sound tranquillo e spensierato, e ritmi che fanno pensare presto ad un’influenza baustelliana, indossa perfettamente il testo che racconta come anche chi è sereno non può far a meno di vedere il marcio che lo circonda. Come in un attimo tutto possa svanire, come «mentre noi stiamo vivendo gli altri spengono i nostri sorrisi», e come a volte rimaniamo impotenti davanti a tutto ciò.

Tu come stai è forse la canzone più intima dell’intero album. Una chiacchierata con chi ci ha sostenuto per gran parte della nostra vita, una resa dei conti con il nostro io, quando ci si accorge che è giunto il momento di cominciare a camminare da soli. Dolce, tenera e profonda, e con un finale sospeso, con una domanda, la stessa che apre la canzone: «Tu come stai?». Segue Nessuno tocchi più Caino, un brano diretto che descrive con discrezione e semplicità la vita di un uomo normale, in una vita normale, che fa cose normali come «separare i resti della spesa, da buon cittadino», in un mondo che però ormai di normale ha ben poco. La traccia numero cinque, La scatola, è il pezzo che dà anche il nome all’album. Una melodia pacata, leggera ed incalzante che accompagna una sorta di lettera di scuse, che ruota tutta intorno ad una frase ad interpretazione: «Vuoi pagarti la rabbia?». If It Was a Sunny Day funge da intervallo, come per dare modo all’ascoltatore di prendere fiato per poi tornare dentro la scatola della realtà. Un pezzo quasi interamente strumentale, accompagnato da vocalizzi e canti di uccelli, dal sapore primaverile.

Pochi passi è il giusto mezzo per riprendere il ritmo. Malinconica ed elegante con un testo che suona quasi come una richiesta d’aiuto: «portami con te da qualche parte, ho messo via il mio stomaco, che come vedi sta a pezzi». Il cambio di registro è immediato con Maccherone tu mi turbi. Un incontro di strumenti che fanno quasi sentire il sapore della terra della band, la Sicilia; un testo stravagante, ottimo per riprendersi dal forte brano precedente. Per concludere il loro primo album, Caterina Anastasi ed i suoi compagni di viaggio hanno scelto una traccia geniale. Buonanotte lucciole, una perfetta colonna sonora da titoli di coda e tenera ninna nanna che descrive l’incapacità di lasciarsi andare alla necessità di agire, per non lasciarsi andare ancora. I Babil On Suite annunciano il loro album come un raggruppamento di stili che si coniugano con il culto per le colonne sonore del cinema italiano ed infatti spiegano: «molte delle tracce sono più pensate come brani da colonna sonora che come pezzi radiofonici», si veda If It Was a Sunny Day. La linea del loro progetto può essere intesa infatti, come un viaggio dove si incontrano diversi stili e generi, cimentandosi in una sperimentazione del tutto nuova che finisce per diventare un sound originale e del tutto personale.


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