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Bacchiglione Blues, Intervista a Matteo Righetto

Creato il 24 marzo 2011 da Fabry2010

Bacchiglione Blues, Intervista a Matteo Righetto

Si può leggere “Bacchiglione Blues” di Matteo Righetto, ultima uscita per la collana “I corsari” di Perdisa Pop, come un omaggio al movimento da lui creato, perché ne propone tutti gli ingredienti e lo fa in tono ironico-grottesco – ma senza tralasciare importanti spunti di riflessione anche in chiave sociologica–, da vero precursore di un rinnovato sabroso genere di polenta-western: siamo in quella Bassa provincia patavina che tanto assomiglia alla Louisiana occidentale, non ci sono mandrie né sceriffi ma barbabietole a gogo e tre delinquenti scalcagnati, Tito, Ivo e Toni, magistralmente rappresentati nei loro difetti e nelle loro miserie. Organizzano alla meno peggio il sequestro della moglie di un grande industriale dello zucchero: la rapiscono, chiedono il riscatto e, in attesa di riscuoterlo, la tengono rinchiusa nel loro rifugio cadente, specchio disadorno della loro pochezza umana.
Questo romanzo è una pastiche di piombo e nebbie, vino rosso e devianze, momenti spassosi ed epica dissacratoria alla Pulp Fiction nostrana: l’imprevedibile s’intrufola dall’inizio alla fine, perché ce n’è per tutti. Crimine, territorio, stranieri, vecchiette, e tante, tantissime barbabietole da zucchero, mentre il Bacchiglione sbircia dalle sue acque e, ci scommetto, strizza pure l’occhiolino.

Partiamo dal movimento Sugarpulp e dai suoi elementi fondativi. Come lo collocheresti in rapporto ai sommovimenti del panorama letterario italiano?
Il movimento della barbabietola è nato chiaramente come elemento di rottura ma anche e soprattutto di proposta. La novità e l’originalità di Sugarpulp sta nel fatto che questo movimento non si limita ad essere soltanto una realtà rappresentata da un sito web (come tanti altri) con recensioni, interviste e approfondimenti; ma è soprattutto un gruppo di scrittori e aspiranti tali che condividono un manifesto letterario e vogliono proporre nuove storie e un nuovo modo di scrivere legati alla dimensione dei “territori”. Sugarpulp nasce col motto di maccartiana memoria: “Perché il nordest, la Bassa, la grande Pianura padana non sono più, da oggi, un Paese per vecchi”, frase che testimonia la nostra volontà di svecchiare la concezione quasi esclusivamente lirica e impegnata della narrativa italiana per aprirla ad un pubblico più vasto e più giovane. Un movimento decisamente pop, dunque.
Sai quanti giovani e quanti cosiddetti “lettori deboli” hanno iniziato ad entrare in libreria e a leggere libri dopo aver conosciuto Sugarpulp e letto alcuni romanzi da noi proposti? Non mi sembra una novità da poco…
Onestamente poi io tutti questi sommovimenti proprio non li vedo, semmai vedo parecchi tentativi di omologazione di fronte alle mode e al mercato che di volta in volta premiano alcune tematiche e alcuni generi rispetto ad altri.

Hai all’attivo due romanzi e in entrambi già dal titolo ci sono rimandi alla territorialità. Il rapporto storia/luogo.
Ho sempre amato le suggestioni letterarie legate alla territorialità, al paesaggio, agli aspetti rurali più aspri e selvaggi. Quando da piccolo leggevo Mark Twain, Jack London e Salgari la mia mente si perdeva nell’immaginazione meravigliosa degli ambienti nei quali questi scrittori calavano i loro personaggi. Sugarpulp è un movimento fortemente legato alla territorialità, basti pensare sia al nostro simbolo (una barbabietola, prodotto della terra), sia a molti dei nostri autori di riferimento e a quanto le loro stesse opere siano caratterizzate da tale peculiarità: il Texas di McCarthy o Joe R. Lansdale, il profondo sud di Faulkner, Caldwell, Crews e molti altri.

Sei stato indicato come il nuovo precursore del genere polenta-western. Ti ci ritrovi in questa definizione? Quanto il polenta-western è Sugarpulp e perché?
Mi ci ritrovo perfettamente per quanto riguarda questi miei primi due romanzi, Savana Padana e Bacchiglione Blues, caratterizzati da una scrittura che attraversa vari generi: il noir, il pulp, il thriller, ma soprattutto il western. Adoro l’epica western, soprattutto del western italiano: il mito della frontiera, la bestialità dei suoi personaggi, il “deserto morale” delle sue storie, l’avidità, la brutalità, ma anche l’ironia, la comicità e le battute taglienti. Il polenta-western è Sugarpulp perché nato contemporaneamente ad esso e ispirato alle linee guida del manifesto. Sugarpulp e la mia scrittura sono nati insieme e cresciuti insieme, esattamente come due gemelli.

Le aspettative e la crescita di un libro. Cosa ti eri prefissato, dall’ideazione alla stesura e, soprattutto, quanto hai raggiunto?
Sinceramente quando ho scritto Savana Padana non mi aspettavo che attirasse su di sé tante attenzioni, certo mi rendevo conto di aver scritto una storia originale e di aver raccontato il Veneto da una prospettiva nuova e grottesca, però ripeto, una risposta del genere non me l’aspettavo. Chiaro che a questo punto da Bacchiglione Blues ho qualche aspettativa, anche perché se ci crede fortemente uno del calibro di Luigi Bernardi non vedo perché io non debba essere ottimista. Da subito le recensioni e le critiche a questo nuovo romanzo sono state numerose e molto positive, perciò posso già ora dirmi soddisfatto. Se invece la tua domanda vuole riferirsi all’aspetto creativo dell’opera, ti confesso che inizialmente avevo iniziato a scrivere Bacchiglione Blues con l’intenzione di rendere un omaggio a Sugarpulp e pubblicarlo a puntate sul sito web, come una sorta di “romanzo manifesto” del movimento stesso. Il mio scopo comunque è sempre stato unicamente quello di scrivere divertendo e divertendomi, tentando però contemporaneamente di analizzare una parte della nostra società puntando sull’uso dell’esagerazione, della caricatura e dell’iperbole.

L’ambiente culturale/intellettuale italiano: commenti?
Credo che l’establishment culturale e letterario italiano sia ancora troppo ancorato a un vecchio modello di lettore colto. Ho la forte sensazione, per non dire la certezza che molti editori, critici, giornalisti e la stragrande maggioranza degli insegnanti di lettere non riescano a cogliere oggi l’importanza di una letteratura apparentemente di evasione. Eppure siamo il paese di Boccaccio, no? E poi troppo spesso ci si rivolge a un target molto adulto, dimentico dei lettori più giovani e curiosi di cose nuove e quando non dimentico, totalmente incapace di intercettare i loro gusti, salvo poi lamentarsi che i ragazzi non leggono e che in Italia si legge sempre di meno.
Questo perché l’ambiente culturale italiano è generalmente vecchio, passatista (spesso ancora legato a un modo di narrare novecentesco), autoreferenziale, snob, politicamente correttissimo, poco audace e noiosamente intellettualoide.

Sugarpulp si attiva per movimentarlo. Bolle qualcosa in pentola?
Eccome! Per la fine dell’estate siete tutti invitati a Padova, dove dal 30 settembre al 2 ottobre si svolgerà il primo Sugarpulp Festival. Stiamo organizzando una tre giorni meravigliosa all’insegna del noir, del pulp, del fumetto e della musica. Saranno nostri ospiti Joe R. Lansdale, Victor Gischler, Tim Willocks, Massimo Carlotto, Jan Wallentin, Camilla Lackberg, per il fumetto ci saranno Alessandro Vitti, Goran Parlov e Bill Sinckiewicz. E ancora musicisti come Alessandro “Asso” Stefana e i Guano Padano, Kasey Lansdale, Simone Piva e i Viola Velluto, più tantissimi altri autori e artisti di cui ancora non posso fare i nomi, perché siamo nel vivo dell’organizzazione.

Il tuo rapporto con la critica.
Finora i miei rapporti con la critica sono stati ottimali, nel senso che per quanto riguarda i miei due romanzi posso considerarmi oltremodo lusingato di quanto ho letto finora sui giornali e sul web. Poi, scusa, quando uno come Giovanni Pacchiano dalle colonne del Sole 24 Ore per recensirmi scomoda nomi del calibro di Faulkner, Caldwell, Tarantino e dice che la mia scrittura è “roba da far sembrare Ammaniti e gli altri cannibali letteratura per anime candide” penso di dovermi considerare in credito con la critica, non trovi?

Cosa rende un critico tale? Dove finisce l’attenzione verso l’opera e comincia lo sfoggio o l’autocompiacimento?
Il vero critico è quello che oltre ad avere una profonda cultura letteraria, deve soprattutto saper leggere e dialogare con un’opera a prescindere dai propri gusti personali. Sembra un’ovvietà, ma non è così. Troppo spesso leggo critiche che non prendono minimamente in considerazione lo scopo di un romanzo, il motivo per cui esso è stato scritta, il pubblico al quale esso si rivolge, il suo contesto. E’ una questione di finalità espressive e codici comunicativi. Ogni opera viene scritta per un destinatario e se questo scopo viene perseguito, allora quell’opera assolve il suo compito. Poi si discute di tutto il resto.

Progetti?
Molti, a cominciare dal mio prossimo romanzo, per il quale ci sono molte attenzioni e pare che interessi a più di qualcuno. Non sarà però una storia inserita nel filone dei miei primi due lavori, bensì un romanzo vero e proprio, il tentativo di fare un passo in avanti pur mantenendo inalterata la mia cifra stilistica. Poi ho da poco scritto un racconto che uscirà negli Stati Uniti per Akashic Books nella primavera del prossimo anno e ovviamente parecchie altre storie in cantiere. Scrivo sempre e grazie a dio le idee non mi mancano.

Ci saluti con una citazione da Bacchiglione Blues?
“Quando uomo con valigetta incontra uomo con Fabarm Martial a pallettoni magnum, quello con Fabarm Martial si prende valigetta.”
(Zlatan Tuco)

Matteo Righetto, padovano classe ‘72, insegnante di lettere, è autore teatrale e scrittore al suo secondo romanzo, dopo Savana Padana (Ed. Zona). E’ co-fondatore del movimento letterario Sugarpulp, portato avanti con la benedizione di Joe R. Lansdale e Victor Gischler



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