Sono stato ai funerali di Baldina Di Vittorio. L'appuntamento è al Tempietto Egizio al Verano. Raggiungo un'entrata laterale e mi perdo nel labirinto di tombe, lapidi, monumenti. Alla fine trovo il luogo e ascolto i discorsi. Una cavalcata nei ricordi di chi, come dice Susanna Camusso, non vuole solo far riapparire la "figlia" di Giuseppe Di Vittorio o la moglie di Giuseppe Berti. Vuole proprio riconoscere l'identità di lei, la donna Baldina, l'antifascista confinata con Lina Fibbi e Teresa Noce nel campo francese di Rieucros. Non c'è solo una figura determinante nella costruzione della nostra democrazia, come sottolinea Emanuele Macaluso, c'è anche la madre affettuosa raccontata dalla figlia Silvia. E’ lei a parlare delle cose che piacevano a Baldina. E qui io all'improvviso, mi sento immerso nelle tormentate vicende dei nostri giorni.
Perché Baldina, dice Silvia, solleva ripetere che gli piaceva il lavoro ben fatto, odiava la sciatteria, il pressappochismo, la faciloneria. Già donne d'altri tempi. Eppure erano le stigmate, vien da pensare, della Cgil, del sindacato italiano. Quello di Di Vittorio che comprava il vocabolario perchè le parole potevano essere un’arma decisiva. Quello di Sergio Garavini che raccontava degli operai di Mirafiori che indossavano la cravatta per andare a parlare col padrone. Era chiamata l'aristocrazia operaia, fatta in gran parte di operai specializzati. Operai che studiavano, andavano oltre quel vocabolario e sapevano, come faceva Cesare Cosi, delegato Fiom a Mirafiori, ridisegnare e studiare la mappa della grande fabbrica. Donne e uomini che facevano del "sapere" il loro punto di forza. Più della capacità di urlare e trascinare le folle. E amavano, come diceva Baldina, il lavoro ben fatto.
Era il cosiddetto fordismo. Poi tutto è andato franando. Quella che si chiamava classe e vantava una coscienza di classe, intrisa di senso di responsabilità, intenta a combattere corporativismi e sirene plebee, convinta di prepararsi per il futuro ad una esperienza egemonica, è diventata un agglomerato confuso e diverso. E’ cominciato il post fordismo, studiato a lungo da Bruno Trentin, fatto di trasformazioni, frantumazioni, con il depauperamento dell'apparato produttivo. Il sindacato ha faticato, fatica, a rincorrere i mutamenti, a organizzarli a guidarli. Rischia, così, di perdere in autorevolezza. Novella, Lama, Pizzinato Trentin hanno cercato di percorrere le strade del rinnovamento, della rifondazione. Basta leggere i diari di Trentin per capire le difficoltà incontrate. Non c'era solo il "male oscuro" delle correnti politiche che nel sindacato premiavano spesso più che le competenze le fedeltà politiche. C'erano fenomeni di burocratismo, di pigrizia, per non parlare degli intralci derivanti dalle difficoltà unitarie. E questo rischio di perdita di autorevolezza è stato spesso alimentato dai governi di centrodestra. Finchè addirittura un governo di centrosinistra non esita oggi a considerare il sindacato un intralcio e non un possibile alleato nel rinnovamento sociale.
Ecco ascoltando le parole di Baldina Di Vittorio sul "lavoro ben fatto" il cronista pensa alla polemica che infuria sui vigili romani che come forma di lotta per miglioramenti salariali ricorrono alla malattia. E al tweet della Cgil nazionale che si dice accanto ai vigili che quella notte del capodanno 2014 hanno invece lavorato. Un tweet che sarebbe piaciuto a Baldina e ignorato dalla campagna scatenata dai mass media. Un esempio che testimonia il rischio di quella perdita di autorevolezza. Non è facile parlare oggi a quei vigili e all'opinione pubblica in generale. Era più facile ai tempi Di Vittorio, Buozzi, Santi, Novella, Lama, Pizzinato, Trentin (per non parlare di Grandi, Pastore, Carniti, Benvenuto). L'attacco all’autorevolezza del sindacato (anche facendo leva su vuoti o manchevolezze del sindacato stesso) aiuta i corporativismi, gli atti disperati, il plebeismo. Dovrebbero capirlo in tanti.
Certo lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil non ha scosso gli apparati governativi incapaci di considerare il sindacato un interlocutore serio. Nel centrosinistra i sostenitori di Renzi, anche sui social network, usano toni aggressivi, privi di dubbi, quasi fossero tutti eredi, per i toni che spesso usano, di talune caratteristiche di certi apparati comunisti del passato. Con quella attitudine che gli stessi dirigenti del Pci condannavano come "boria di partito", per dirla con Antonio Gramsci. Sembra una strada senza uscita, un muro contro muro, con uno schieramento di sinistra che, per la prima volta nella storia, si oppone frontalmente a quasi tutto il movimento sindacale. La Cisl cerca di svincolarsi ma non rinuncia alle sue critiche.
Il futuro rimane incerto, anche ritornando al funerale, riascoltando le parole di Silvia Berti, la figlia di Baldina che porta il cognome del marito, Giuseppe Berto, un fondatore del Pci. Uno che discuteva con Tasca, Togliatti, Amendola, Stalin e che è stato oscurato, dimenticato. Silvia insiste sulle cose che piacevano alla mamma e tra queste, nei momenti di grande difficoltà, nell'esilio a Parigi, nel campo di concentramento francese, affiora un incitamento, un lampo: "C'è sempre, sempre, una via d'uscita". Speriamo.
Bruno Ugolini