L’OPINIONE. E’ finito. Il calcio, questa volta è veramente finito. E di certo non sono solo i 100 milioni che il Real Madrid ha investito affinchè Bale vestisse la “camiseta blanca” a farmi pensare che il limite, stavolta, è veramente oltrepassato. Camiseta, per l’appunto. Vorrei partire dalla camiseta, il principio di tutto. Il calcio si fonda su un gruppo unito per un unico obiettivo, quello della vittoria, del successo per la maglia che si ha indosso. O meglio, così dovrebbe essere. Oggi, più che in ogni altra epoca, il sentimento sta venendo meno, l’attaccamento ai colori che si vestono è tanto sporadico che, nel football che tanto dispensa emozioni, non è neanche più lecito sognare. Ora, il vero sogno, è quello di avere dei bigliettoni in tasca che ti permettano di costruire una squadra che ti porti nell’Olimpo dei campioni.
E così si rincorrono i grandi magnati del mondo del calcio, scambiandosi colpi bassi gratuiti, cercando di annullarsi l’uno con l’altro. “Se tu prendi Neymar, allora io prendo Bale. E lo pago due, tre volte tanto. Per farti capire quanto sono grande”. Sembra uno scherzo, un ricatto da bambini stupidi che vogliono la merendina più dolce, più bella, più cool. E i milioni volano, liberi sopra le teste di grandi petrolieri, di Zar incontrastati del nuovo millennio. La passione e la costruzione intelligente passano in secondo piano. Senza neanche uno straccio di limite imposto da chi dovrebbe comandare l’economia degenere di questo calcio. E che non si dica che esiste un Fair Play Finanziario. Buffonate, qui comanda ancora una volta chi ha i soldi. Si prenda a esempio il Paris Saint Germain del signor Al Khelaifi. L’uomo appena citato ha detto una frase, due giorni fa, che mi ha fatto rimanere una statua di sale: “Non compreremo più nessuno. Ma non si sa mai”. Nel solo 2013 quest’uomo ha speso più di 100 milioni di euro. Ma non si sa mai, magari ha in serbo ancora qualche milioncino per far contenta una città che, fino a tre anni fa, viaggiava a fondo classifica.
Ciò che è utopico è affascinante, irraggiungibile, ma talvolta concreto. E’ per questo che in questa mia opinione vorrei che entrasse un club che vive da più di 100 anni questa utopia: l’Athletic Club de Bilbao. La squadra basca ha come prerogativa e obbligo dalla sua nascita di ingaggiare e far scendere in campo solo giocatori autoctoni o cresciuti nelle giovanili dello stesso club biancorosso. Lezama, così si chiama la grande “fabbrica” di giovani della regione basca, dove sono cresciuti e scelti i ragazzi da lanciare nella Liga Spagnola. Bene, l’Athletic è riuscito nel 2012 ad arrivare in finale di Europa League. Al di là del successo personale della squadra che a suo tempo era allenata da Bielsa e che poi perse contro l’Atletico Madrid, il vero e grande successo fu, a parer mio, quello del calcio intero.
Quel giorno vinse il sogno, vinse l’anticalcio, se così vogliamo definirlo. Anticalcio inteso come ideale fuori dagli schemi, colpo basso a un’intera classe di dirigenti che spendono e spandono per poi affogare nell’autocelebrazione.
Il calcio odierno è quello in cui, per puro ricatto, Bale vale 100 milioni. Quello in cui Illarramendi, giovane centrocampista nato nella Real Sociedad e autore di un buon Europeo U21, è pagato dallo stesso Real 40 milioni. E siede comodamente in panchina. Un insulto, per tutte quelle piccole squadre che rincorrono un sogno sempre più offuscato all’orizzonte. Il calcio odierno è quello in cui Sakho, centrale scaricato dal Psg, è acquistato per 19 milioni dal Liverpool e quello in cui il Monaco, promosso in Ligue 1, pur di lottare per il campionato spende più di 150 milioni per costruire un organico competitivo. Il tutto per il personal piacere di un uomo che è a capo di tutto.
Dopo un così grande scempio, nonostante sia una briciola di ciò in cui il calcio si sta immergendo, è il momento di reagire, il momento di dire basta a gran voce. E’ tempo di tornare a sognare, di vedere progetti, come può essere quello rappresentato dal Dortmund, nascere e svilupparsi al meglio. E’ il momento di vedere competenza e serietà da parte degli organi che gestiscono il calcio. E’ il momento di sognare, di tornare a vincere, di alzare coppe con merito. Prendere come metafora del calcio mondiale l’FA Cup: ognuno ha la sua possibilità, che si gioca al meglio delle proprie capacità. Dando l’anima, per fare un passo in avanti, per vedere avvicinarsi il sogno, l’utopia.
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