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Banche ombra, debito pubblico ed eccessi: l’economia cinese al confronto con i suoi mali

Creato il 11 luglio 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Daniele Villaci

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七. Qi. Sette. Un numero che nella millenaria tradizione cinese significa buon auspicio e cura delle relazioni sociali. Un numero che in realtà in questi giorni sta diventando uno dei peggiori grattacapi del Presidente cinese Xi Jinping e del Governatore della Banca Centrale cinese Zhou Xiaoquan. Sembra ormai confermato che il numero 7 accompagnerà almeno per il prossimo anno le prospettive di crescita del PIL della seconda economia del pianeta. Cifre assurde se comparate con quelle in negativo dei Paesi dell’Eurozona, ma che in realtà stanno facendo tremare le gambe di un gigante abituato a tassi di crescita a doppia cifra. Il nuovo target del governo si è infatti spostato dal ben più fortunato numero 8 dello scorso anno al recente 7.4%, almeno per il restante semestre in corso e per il 2014.

Secondo gli osservatori l’economia cinese sarebbe finalmente giunta al cosiddetto “turning point”: da un modello orientato su esportazioni e investimenti si starebbe finalmente convertendo in uno più stabile, stimolato dai consumi interni e da un crescita più ridotta ma costante nel tempo. Questo almeno guardando i dati dell’economia reale che indicano un rallentamento generale degli acquisti nei principali settori industriali: secondo HSBC l’indice P.M.I sarebbe passato da 49,2 a 48,2 nel giro di un mese, proseguendo sotto la soglia di 50 che indica quando un’economia è in contrazione o in espansione.

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China real GDP growth – Fonte: Pictet

Ma i dati più allarmanti che hanno spinto la Banca Centrale cinese a prendere una posizione netta provengono manco a dirlo dai mercati borsistici.

Nei giorni scorsi, i tassi di interesse interbancari sono improvvisamente schizzati al livello record del 25%, facendo ricordare a molti analisti quelli raggiunti nelle piazze americane ed europee a seguito del fallimento di Lehman Brothers. Il 24 giugno l’indice composito della borsa di Shanghai ha segnato il tracollo raggiungendo un -5.3%, anche a seguito dell’inazione iniziale della Banca Centrale Cinese. I quotidiani cinesi hanno riportato la difficoltà di prelievo negli sportelli ATM di alcuni clienti della ICBC, la banca più diffusa capillarmente sul territorio cinese, così alla fine la Banca Centrale è dovuta intervenire direttamente, promettendo maggiori iniezioni di liquidità a tutela della stabilità finanziaria.

Tuttavia, era ormai chiaro a tutti che il vaso di pandora era stato scoperchiato.

Il sistema bancario ombra: il primo dei mali

Secondo molti, la rapida impennata dei tassi di interesse interbancari è stata in realtà pilotata dalla Banca Centrale Cinese, o meglio da una serie di dichiarazioni del Governatore Zhou che hanno rimarcato come non sia affatto scontato che la Banca Centrale debba intervenire ad ogni scossone del mercato finanziario per pompare liquidità e consentire alle banche di continuare a farsi prestiti a tassi convenienti. Quello che però il Governatore non aveva quanto meno previsto, era che sotto il coperchio si nascondeva un mostro di dimensioni ancora incalcolabili, che una volta venuta meno la leva della liquidità, ha reagito facendo crollare a effetto domino i prestiti tra i principali istituti di credito del Paese.

Un mostro che ha un nome ben preciso: “shadow banking” o “sistema bancario ombra”. Un sistema di erogazione del credito informale, cresciuto in simbiosi con quello bancario tradizionale, che ha alimentato negli anni la fame di prestiti in un Paese dallo sviluppo forsennato. Di fatto, il meccanismo ha fino a questo momento sempre funzionato: più il sistema bancario tradizionale pompava soldi erogando prestiti alle industrie di Stato o alle aziende private, più queste prestavano a loro volta denaro ad altri istituti di credito o a compagnie finanziarie a tassi maggiorati che a loro volta erogavano crediti a breve scadenza a settori altamente speculativi come quello immobiliare.

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Estimated size of China’s shadow banking system – Fonte: PBoC, SG Gross Asset Research

Le comparazioni con quello che avvenne negli Stati Uniti prima della grande crisi del 2008 si sprecano. Basti solo pensare che il sistema del credito è cresciuto del 52% nei primi mesi del 2013 rispetto allo stesso periodo del 2012, il tutto per merito del sistema parallelo e di prodotti finanziari a breve termine (Wealth Management Products) che garantiscono agli istituti di credito ritorni alti ma che devono essere finanziati regolarmente attraverso nuovi depositi o ricorrendo al mercato interbancario.

Questo sistema parallelo ha permesso alle banche di abbattere il tetto del 75% di prestiti sul totale dei depositi previsto dalla legislazione cinese, qualora però non si trovasse una copertura per il credito erogato, la perdita sarebbe registrata in capo alla banca o all’istituto finanziario che lo ha emesso.

Uno scenario di fatto non così dissimile da quello accorso negli Stati Uniti alla fine del 2008. Se poi si pensa che l’enorme massa di questi prodotti si è accompagnata all’esplosione dei prezzi delle proprietà immobiliari e dei terreni soprattutto nelle aree costiere del paese allora si comprende come mai la Banca Centrale sia quanto mai preoccupata a contenere gli effetti del credito ad alto rischio.

Economia in contrazione e debito pubblico: austerity è la nuova parola d’ordine

Ma i grattacapi per le autorità monetarie cinesi non sono finiti. Il problema dei finanziamenti ombra è infatti legato alla crisi economica internazionale, alla perdita di competitività del Made in China e alle difficoltà di far emergere i consumi interni che rimangono straordinariamente accollati a un livello stabile rispetto alle prospettive di crescita del PIL. Le perdite riscontrate da molte aziende cinesi sul fronte export, in particolare da quelle manifatturiere tradizionali, hanno avuto come conseguenza la riduzione delle possibilità di indebitamento e di rimborso dei prestiti alle banche, ponendo così le banche stesse nella condizione di dover ricorrere ancora più copiosamente ai finanziamenti ombra e ad azioni di finanza speculativa.

Il problema del credito non risparmia nemmeno le amministrazioni pubbliche, impegnate in faraonici progetti infrastrutturali, che hanno visto crescere la quota di debito pubblico fino al 66% sul PIL (+7% in un anno) a fronte però di un indebitamento delle aziende che ha già superato il 120%. Sono soprattutto le amministrazioni locali ad essere al centro del mirino dell’azione governativa. La mancanza di dati certi sulle passività esistenti rende molto difficile quantificare i debiti certi, soprattutto a seguito di notizie che certificano come il finanziamento ombra sia una pratica ormai in auge anche presso le amministrazioni pubbliche, che spesso sovvenzionano le imprese locali con operazioni ai margini della corruzione, senza che vi sia una reale copertura della spesa.

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Fonte: China National Audit Office, SG Gross Asset Research

La riduzione, o quanto meno il contenimento degli eccessi degli ultimi anni, è diventato così il mantra quotidiano attorno a cui si muovono le azioni del governo di Xi Jinping.

L’ultima riunione del Politburo ha affermato come sia necessario combattere la stravaganza e l’eccesso in tutti i livelli politico-amministrativi. Dai luculliani banchetti degli alti ufficiali pubblici, alle spese folli nelle importazioni di capi di lusso e vini pregiati, la nuova linea del governo centrale sembra orientata verso la condizione con cui l’Europa convive da un po’ di anni. L’austerità. E non ha importanza se questo implica un raffreddamento anche delle prospettive di crescita. Meglio accontentarsi di una crescita più contenuta, piuttosto che di un grillo parlante che metta in piazza gli sperperi del sistema pubblico.

* Daniele Villaci è Dottore in Economia e Management per le Istituzioni Pubbliche e Internazionali (Università Bocconi di Milano)

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