Barack Obama apre a Cuba e gli Usa tornano protagonisti nell'emisfero occidentale
Il 17 dicembre sarà ricordato come uno di quei giorni in cui si fa la storia e cambiano i destini del mondo.
In quella data il presidente americano Barack Obama e il suo omologo cubano Raul Castro hanno annunciato all’opinione pubblica globale la fine di oltre cinquant’anni di ostilità e mancanza di relazioni diplomatiche tra Washington e L’Avana.
I due hanno infatti tenuto un discorso, quasi in contemporanea, con cui entrambi sostenevano la necessità di seppellire mezzo secolo di contrasti, culminati nello sbarco alla Baia dei Porci dell’aprile 1961, volto ad abbattere il regime di Fidel Castro e nella successiva crisi dei missili dell’ottobre 1962.
Due momenti di altissima tensione che, nel secondo caso, condussero il mondo ad un passo dalla Terza Guerra Mondiale e furono preceduti e seguiti da innumerevoli tentativi di assassinio di Fidel, nonché da tentativi di stroncare l’economia cubana, non solo con l’embargo sulla sua principale risorsa economica, lo zucchero, ma anche con complotti per avvelenare le colture, sabotare la produzione di energia etc..
Tutto questo allo scopo di eliminare dalla geografia americana uno stato che aveva osato ribellarsi allo strapotere che Washington ha sempre voluto esercitare sul suo “cortile di casa”, l’emisfero occidentale.
Una nazione che, anzi, non aveva esitato a permettere all’Urss, il principale nemico degli Usa nella Guerra Fredda, di poggiare i suoi stivali sullo stesso continente americano.
Uno sgarro imperdonabile che ha indotto ben dieci presidenti a tentare di isolare Cuba e il suo sospetto contagio comunista dall’intero emisfero occidentale.
Naturalmente, alcuni inquilini della Casa Bianca fecero dei tentativi per impostare in modo diverso simili relazioni, basti pensare al possibile dialogo tra John Kennedy e Fidel Castro o alla volontà di Jimmy Carter di favorire un riavvicinamento tra Cuba e gli Usa.
Furono però esperimenti isolati, destinati a scontrarsi con la comunità di esuli anticastristi che popolavano e popolano Miami e l’intera Florida; un serbatoio di voti cruciali per ogni elezione presidenziale e che ogni candidato alla Casa Bianca ha sempre corteggiato.
Tuttavia, il risultato finale dell’ostinato ostracismo verso Cuba, durato per cinque decenni, non ha condotto al risultato sperato di eliminare al regime dei fratelli Castro.
Dopo Fidel, il potere è stato assunto da suo fratello Raul.
Le conseguenze reali di una simile chiusura è stato l’isolamento degli Usa e non di Cuba.
Man mano che, in vari paesi dell’emisfero, prendevano il potere leader come Hugo Chavez in Venezuela o Evo Morales in Bolivia, contrari al predominio statunitense e favorevoli a sostenere la lotta ultradecennale di Cuba verso Washington, gli Stati Uniti sono stati gradualmente emarginati, all’interno del continente americano.
Invece di aumentare, l’influenza statunitense si è via via ridotta, tanto da indurre molti esponenti della classe dirigente a stelle e strisce a tentare di porvi rimedio.
Con l’apertura a Cuba, Barack Obama è riuscito finalmente a far uscire il suo paese dall’angolo in cui si era confinato da solo, con il lungo embargo non solo economico, ma anche politico verso L’Avana.
La mossa del presidente sarà quindi essenziale per permettere al suo paese di tornare ad esercitare una reale influenza nel continente americano, ma, allo stesso tempo, le parole usate da Obama, nel suo discorso, hanno lasciato trasparire una certa amarezza.
Il primo afroamericano alla Casa Bianca ha infatti sostenuto che cinquanta anni di embargo e volontà di emarginare Cuba non sono serviti a nulla: in ultima analisi, la strategia americana è risultata essere un completo fallimento.
Un fallimento che non solo ha comportato un graduale appannarsi del peso statunitense nell’emisfero, ma ha costretto milioni di cubani a vivere senza libertà e sotto un regime obbligato a reprimere l’anelito alla democrazia per pure esigenze di sopravvivenza.
Quest’ultima poco lusinghiera conclusione del presidente non potrà trovare buona accoglienza da parte dell’opposizione del Gop, il partito repubblicano, che tra meno di un mese prenderà il controllo dell’intero Congresso.
Molte carriere politiche di esponenti dell’ex partito di Abramo Lincoln sono state costruite proprio sull’odio verso Cuba e sulla necessità di stroncare le resistenze dei Castro.
Ad esempio quella del senatore della Florida, Marco Rubio, figlio di immigrati cubani, e possibile candidato alla Casa Bianca nel 2016.
Questi ha denunciato la mossa di Obama come puro appeasement, un tentativo di avvicinarsi all’Avana per chiudere una lunga controversia, ma senza ottenere nulla in cambio.
Politici come Rubio, o anche il senatore del Texas, Ted Cruz, hanno fondato la loro carriera politica sull’isolamento verso Cuba e sarà difficile abbattere la loro resistenza al cambiamento.
Ma questo è ineluttabile.
I tempi cambiano, gli elettori della Florida più giovani e latinos non sanno nulla dello sbarco alla Baia dei Porci, né della crisi dei missili, e sono pronti a superare un ostracismo verso i cubani che non approvano perché non ne comprendono più le ragioni.
Obama ha aperto una strada e ormai, nei prossimi anni, saranno in molti a percorrerla, senza guardarsi indietro.