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La prima volta che usai questa finta copertina del copertina del settimanale "The Economist, fatta da me medesimo prendendo in prestito quella che il magazine economico dedico a Silvio Berlusconi, forse molti avranno pensato che fosse solo una battuta, era invece la mia certa convinzione che l'uomo eletto alla casa Bianca nel 2008 sia forse il più grande bluff che ci sia mai arrivato dagli Usa dal tempo dei Monkees.
Già durante la campagna elettorale che vedeva quello che sarebbe divenuto il 44esimo presidente degli Stati Uniti d'America espressi i miei dubbi sulle qualità di Barack Obama, che dal suo curriculum mostrava chiaramente di non aver nessuna esperienza di governo e, soprattutto, non aveva mai dimostrato in tutta la sua vita di possedere le qualità per essere un leader. Tanto che la stessa Sarah Palin, così tanto messa alla berlina dalla stampa "liberal" di tutto il mondo, appariva più qualificata e che il vecchio eroe di guerra John MacCain garantiva una capacità di cambiare le regole della politica e della finanza americana, che avevano provocato l'inizio di questa lunghissima crisi, sicuramente meglio dello sconosciuto Obama.
Ma il senatore dell'Illinois era evidentemente l'uomo giusto, trovatosi nel posto giusto, al momento giusto, perché la sua ascesa come il presidente che avrebbe riportato la democrazia e le libertà nel mondo e che avrebbe raddrizzato le sorti dell'economia, ridistribuendo le ricchezze accumulate dai pochi grandi magnati al popolo, favorendo l'integrazione e lo sviluppo delle minoranze, fu irresistibile.
Non c'è neanche da dire che fu specialmente in Italia che l'Obamismo ebbe subito grande fortuna, grazie agli intelligentissimi sempre pronti ad accogliere il meglio che viene dall'estero. Essi furono perfino disposti a credere che le ingentissime risorse che consentirono ad Obama di mettere in campo una propaganda elettorale mai vista prima fossero frutto delle donazioni dei cittadini attraverso internet, inveche che di massicci finanziamenti delle lobbies finanziarie e delle grandi multinazionali. Simbolo patetico dell'infatuazione adolescenziale di tanti nostri concittadini per l'ennesimo uomo della Provvidenza fu la creazione del "circolo on line del PD Barack Obama", ormai defunto per evidenti ragioni. Ragioni che sono poi i fatti che si mostrano tutti i giorni davanti agli occhi di chiunque voglia vederli e cioè di un presidente che non solo non ha fatto nulla di quello che aveva promesso di fare, a parte una riforma sanitaria parziale e non sostenibile finanziariamente, ma che si dimostra ogni giorno di più non in grado di svolgere le funzioni del ruolo per il quale è stato eletto: Barack Obama is unfit to lead Usa.
Il risvolto comico della faccenda è che, nonostante ormai sia stato totalmente sfiduciato in patria, Obama esprime il suo pieno appoggio e la sua fiducia ai nuovi governi italiano e greco e sugli sforzi che le istituzioni europee stanno attuando per uscire dalla crisi, ovvero a Monti, Papadeos e Draghi, la triade di Goldman Sachs, quasi a confermare che non è poi così assurdo pensare che pure il presidente non sia estraneo alle fortune della grande banca d'affari.
Così, mentre il Wsj si diverte a disegnare un' Europa prossima ventura sotto l'egemonia tedesca, evento del resto auspicata da non pochi nostri concittadini, che dando ragione agli stereotipi di marca germanica dimostrando di essere nati per fare i camerieri e i gelatai, sono prontissimi a consegnarsi agli efficienti tedeschi, che sicuramente sapranno "amministraci meglio dei nostri politici (ma se siamo arrivati ad importare mozzarelle, pure di pessima qualità, dalla Germania il motivo ci sarà pure, o no?) gli americani non possono tanto ridere sulle vicende nostrane, che la crisi, originatasi dagli Stati Uniti, anche da loro è tutt'altro che domata e il fallimento dell'accordo tra repubblicani e democratici sulla riduzione del debito pubblico apre una stagione di tagli alla spesa pubblica che daranno la spinta finale per riportare i Repubblicani alla Casa Bianca, con tanti saluti alle utopie obamiane.
Un segnale di quanto le cose sono cambiate in soli due anni lo hanno dato i copiosi fischi all'indirizzo di Michelle Obama, da sempre considerata molto più popolare del marito, e Jill Biden, moglie del vice presidente Joe, all'autodromo di Miami, una notizia un po' nascosta dai media nostrani, che si sono invece concentrati sui fischi a Vladimir Putin.
Ci sarebbe da domandarsi se vale la pena arrabattarsi come stiamo facendo sapendo che tra un paio d'anni lo scenario politico internazionale sarà completamente diverso, anche se, chiunque sarà al governo a Berlino, si può star certi che la Germania continuerà la sua politica attuale, a difesa dei propri interessi a discapito di quelli degli altri.
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