Barozzino, Lamorte e Pignatelli

Creato il 26 agosto 2010 da Olineg

Il Presidente della Repubblica Napolitano bacchetta la Fiat esortando a rispettare le sentenze dei giudici. Il Ministro delle infrastrutture Matteoli sottoscrive l’appello. La Cei plaude il Capo dello Stato. La Marcegaglia difende Marchionne. Ma qualcuno che parli dei tre operai di Melfi no? Anche male, ma che se ne parli, che qualcuno li nomini. Perchè la storia di Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli va raccontata. I loro nomi meritano i titoli, perché i protagonisti sono loro. La dignità mostrata dai tre operai, che vogliono tornare a lavorare nonostante l’azienda si sia impegnata a pagargli comunque lo stipendio, è commovente. E lo dice uno che non ci avrebbe pensato due volte a buttarsi sul divano di casa, non tanto per accidia, ma per la soddisfazione di farsi mantenere dal padrone. Da meridionale mi sento riscattato dal loro senso del dovere. Da italiano mi sento rinfrancato da una storia di tale dignità. Da uomo mi sento maggiormente rappresentato da loro che da Napolitano o Marchionne. Questo è tutto quello che ho da dire sul caso di Melfi. Questo è tutto quello che penso: Barozzino-Lamorte-Pignatelli. A pronunciarli sembrano tre ciclisti, il gruppo di testa di una tappa del Giro d’Italia. Una tappa di montagna, tutta in salita. Avevo intenzione di imbastire un’analisi su come sia stato possibile l’affermarsi di un pregiudizio che vuole i meridionali sfaticati, nonostante Marcinelle e l’emigrazione. Avevo intenzione di raccontare di come mi abbia sempre colpito un termine dialettale della mia terra, malacarne, letteralmente carne non buona, malata, che indica sia il fannullone che il delinquente. Ma sono pippe mentali che rimando a un’altra volta. Ora mi fermo qui, mi siedo in cima a un paracarro, in questo giorno appiccicoso di caucciù, e pensando agli affari miei aspetto la volata del terzetto, l’eterno riscatto dei gregari.



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