Nonostante i 4 Oscar vinti nel 1976 (fotografia, scenografia, costumi e colonna sonora), Barry Lyndon è probabilmente, tra i film di Kubrick, quello che ha goduto di minore popolarità, sia come successo di pubblico, sia per non aver avuto l’abituale strascico di polemiche e dibattiti che generalmente accompagnava ogni uscita dei suoi film. E’ l’adattamento cinematografico, con qualche variante, del romanzo picaresco Le memorie di Barry Lyndon di Thackeray, pubblicato a puntate nel 1844 e in unico volume nel 1856. In breve, è la narrazione della biografia di Redmond Barry (Ryan O’Neal), un giovane irlandese di bell’aspetto, forte e abile, ma anche ingenuo e non particolarmente intelligente, con disponibilità limitate e rampante ambizione, stimolata dalla madre che sogna di vederlo diventare un Lord. Barry, dopo un finto duello in cui gli viene fatto credere di aver ucciso il suo rivale in amore, un ufficiale inglese borioso e codardo che, grazie alle sue cospicue sostanze, gode dei favori della famiglia per maritare Nora, la giovane contesa tra i due, è costretto a rifugiarsi a Dublino. Sulla strada per la capitale, viene derubato delle monete dategli dalla madre e del cavallo e non trova altra soluzione per guadagnarsi da vivere che arruolarsi nell’esercito inglese, impegnato nella Guerra dei sette anni (1756-1763).
Dopo aver ricevuto una cospicua somma da un capitano morente, vecchio amico di famiglia, e aver derubato due ufficiali omosessuali, sorpresi ad amoreggiare nel fiume, delle divise e dei documenti, Barry diserta e raggiunge le linee dei prussiani, alleati degli inglesi. Qui viene presto smascherato e messo nelle condizioni di dover scegliere tra l’arruolamento nelle truppe germaniche o la consegna all’esercito inglese per essere giustiziato. Il giovane irlandese, manco a dirlo, opta per la prima scelta e riprende la sua vita militare in condizioni ben più dure di quelle a cui era sottoposto tra i britannici. Ma una svolta nella sua carriera militare è dietro l’angolo: grazie alla sua nazionalità, gli viene offerto dai prussiani di lavorare come spia per sorvegliare un diplomatico irlandese, faccendiere e baro, lo Chevalier de Balibari. Barry, però, confida al connazionale la vera natura del suo incarico e fa il doppiogiochista con la polizia prussiana. Quando, a causa di una sfida a duello con un principe che lo accusa di aver barato al gioco, lo Chevalier viene espulso dalla Prussia, lo stesso fugge furtivamente nella notte e Barry, assunte identità e fattezze del diplomatico, viene accompagnato alla frontiera dalla polizia prussiana, scampando in questo modo ai suoi obblighi militari. Balibari e Barry si ricongiungono in Inghilterra e mettono su un sodalizio di bari che consente loro di accumulare vincite su vincite. Il giovane irlandese ha anche l’occasione di fare conquiste sentimentali in serie; tra queste, Lady Lyndon (Marisa Berenson), ricchissima e bellissima nobildonna, sposata con Sir Charles Lyndon, uomo potente, ma anziano e disabile, con il quale ha avuto un figlio, Lord Bullington.
Alla morte del marito, Lady Lyndon, nonostante l’ostilità del figlio, sposa Barry che, in questo modo, può credere di aver raggiunto l’obiettivo della sua vita: l’agiatezza e il titolo di Lord. Ma dopo la nascita del loro figlio Bryan, Barry Lyndon si disinteressa della pur sempre avvenente moglie e non si preoccupa di coltivare la sua passione per le giovani donne, nobili o plebee che fossero, con discrezione. Ciò accresce l’ostilità di Lord Bullington, provato anche dalla nascita del fratellastro, e il conflitto tra i due esplode violento ad ogni occasione. Alla fine, Bullington lascia la casa, giurando vendetta non appena la situazione lo avesse consentito. Il rovescio della fortuna per Barry non tarda: dopo aver pregiudicato ogni possibilità di ricevere il titolo di Lord ed essersi guadagnato lo sdegno della buona società, per aver picchiato selvaggiamente in pubblico Bullington durante una festa musicale, in occasione del loro ultimo scontro, suo figlio, il piccolo Bryan, muore, conseguenza della caduta per essere stato disarcionato dal puledro, dono di compleanno, cavalcato furtivamente anzitempo, nonostante il veto del padre. Barry si da all’alcool, mentre Lady Lyndon, dopo aver tentato il suicidio, sprofonda nell’isteria religiosa. Il dissesto economico, naturale conseguenza della situazione, viene arginato solo dall’amministrazione oculata della madre di Barry. In questo contesto, Lord Bullington si ripresenta e sfida a duello il patrigno. Dopo aver fatto esplodere a vuoto il suo colpo per l’agitazione, Bullington, tremante e cadaverico, viene risparmiato da Barry che scarica a terra il suo. Ma, contrariamente alle aspettative e nonostante lo spavento passato, il giovane Lord non si ritiene soddisfatto e chiede il secondo colpo, con cui ferisce gravemente Barry a una gamba, successivamente amputata. Riprese in mano le sorti dei possedimenti di famiglia, Bullington offre una sostanziosa rendita a Barry, a patto che questi e la madre rientrino in Irlanda e non facciano più ritorno in Inghilterra. Vista la situazione, Barry accetta.
Girato in alternativa al progetto su Napoleone, accantonato scaramanticamente dopo il flop del film Waterloo di Sergej Bondarçuk del 1970, Barry Lyndon mostrò tutta la maestria di Kubrick nella ricostruzione storica, esaltando il sottile senso eroicomico tipico del romanzo picaresco e la sua personale vena antimilitarista e dissacratrice, anche grazie a un indovinato utilizzo della voce narrante fuoricampo e in terza persona. Frutto di una maniacale cura nella scenografia e nei costumi, firmati rispettivamente da Ken Adam e Milena Canonero, portata avanti attraverso una meticolosa ricerca sulla pittura dell’epoca, il film apparve come uno straordinario affresco in movimento. Ma è soprattutto nella fotografia, firmata da John Alcott, che il regista ebbe intuizioni che ne evidenziarono una volta di più la genialità e la perizia artigianale. Per evitare alterazioni dell’atmosfera, dovute alle luci artificiali, Kubrick adattò un particolare obiettivo, prodotto dalla Carl Zeiss per la Nasa, alle sue esigenze. In questo modo, poté permettersi di girare scene illuminate dalle sole candele o dalla luce naturale e stemperare l’effetto delle luci artificiali nelle scene in cui era necessario il ricorso ad esse. Azzeccatissima anche la scelta delle musiche, curate da Leonard Rosenman con il riadattamento e la manipolazione di brani di grandi autori, dal barocco al protoromanticismo (Handel, Bach, Mozart, Paisiello e Schubert) e l’innesto di ballad e marcette folk irlandesi eseguite, tra gli altri, dai Chieftains.