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E non che prima fossi un appassionato di Arancia Meccanica o robe del genere: anzi, sono sempre stato più morbido, più merlot e Lord Brummel, piuttosto che Jack Daniel's, latte+ e Burgess. Ma adesso, comincio ad essere molto infastidito, ma soprattutto preoccupato, allarmato, angosciato.
Il chart della violenza, in questi ultimi giorni ha preso un'impennata esponenziale. Penso, ma qualcosa mi dimentico, ad Husby, banlieue di Stoccolma, dove - non sottovaluto le ragioni fondo, che ci sono e sono pensati - è da giorni che infuoca una guerriglia di una rabbiosità inaudita. Penso alle molotov lanciate a Faenza, contro la casa del Presidente delle Provincia di Ravenna, Claudio Casadio. Penso ai proiettili e alle minacce di morte, che ormai non turbano più talmente sono state nei tempi, un giudice come Ilda Boccassini. Penso al pugno in faccia a quell'arbitro donna, durante una partita tra dilettanti nel genovese. Penso, sempre a Genova, a quell'uomo che ha buttato fuori dall'auto la sua compagna, e che non contento di ciò, poi le ha sparato. Penso a quel Kabobo pochi giorni fa. Penso a quelle shockanti immagini dell'attentato di Woolwich: quell'uomo che urla alla telecamera, le mani sporche di sangue, la signora che passa con la spesa, i coltelli, il corpo e i racconti. Come se tutto fosse normale, legittimo, sostenibile, un pezzo dell'insieme.
Ma così non è. Noi non possiamo essere questo. Che deriva maledetta da Dio, stiamo prendendo? Dove stiamo andando a finire? Quale sarà il prossimo passo? Perché francamente, tutto quanto mi sembra al limite, un limite massimo raggiunto, e difficilmente mi viene da pensare come sia possibile oltrepassarlo.
E penso a Tea, al mondo che gli consegneremo. Ma soprattutto penso al breve termine: è ancora piccola, ma tra un po' inizierà a comprendere, a decifrare le immagini, a riconoscere e discernere. Discernere, appunto: come faccio, io, un padre, a spiegargli dov'è il bene? In mezzo a tutta questa claustrofobica violenza.
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