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Basta, non attacchiamoci al tram

Creato il 26 settembre 2012 da Albertocapece

Basta, non attacchiamoci al tramAnna Lombroso per il Simplicissimus

Corre di nuovo sui binari il tram numero 3, proprio come faceva la circolare di una volta, una metafora della nostra contemporaneità: attraversa vestigia imperiali e propaggini di borgate, taglia di netto pubbliche miserie e opulenze private. La mattina ci vedi donne già stremate per aver fatto le pulizie degli uffici, che dormono in piedi nel vagone traballante davanti ai nostri ragazzini, seduti chè devono giocare coi cellulari, e i nigeriani che trascinano di vagone in vagone i grandi sacchi di borse contraffatte, guardandosi intorno smarriti per paura dei controlli.
Oggi un uomo attempato, distinto, ben vestito è precipitato repentinamente nella condizione umiliante e sorprendente di vecchio rottame, pronto ad essere conferito nello spazio indeterminato delle vite nude, improduttive e quindi disonorevoli, che sarebbe preferibile celare con verecondia nelle tenebre ai margini della società.
Il fatto è che le nuove carrozze che sinuosamente avanzano sostituendo l’arcaico sferragliare amico con un algido fruscio, sono progettate per accostarsi docilmente a pensiline dove ordinatamente attendono probi viaggiatori.
Ma di pensiline a Roma ce ne sono poche: le carrozze innovative del numero 3 si fermano sconfinando in perigliosi avvallamenti, sfiorando marciapiedi sconnessi, rasentando profonde buche ventennali. Il distinto signore, modificato fulmineamente in Umberto D, si è affacciato dalle portiere che si stavano già chiudendo impazienti su di lui, si è buttato fuori ed è precipitato, spalmato per terra e ingloriosamente davanti alle memorie trionfali e inquietanti del Colosseo.
Non vi spiacerà se da questa cronachetta cittadina traggo qualche spunto: titola oggi il Messaggero, “Assunzioni pilotate all’Atac: tutti i segreti di Parentopoli. Mogli, amici e cubiste, chiuse le indagini sullo scandalo. Sette alti dirigenti e l’assessore all’Ambiente indagati per abuso d’ufficio”.

È inevitabile, naturale, spontaneo pensare che all’Atac, industrioso laboratorio sperimentale della corruzione de noantri, abbiano scelto mezzi, vetture e carrozze sulla base di interessi opachi, profitti innominabili, tornaconto personale, secondo gare manipolate, appalti truccati, elusione di controlli e collaudi. Ma è anche plausibile che le decisioni aziendali, – inefficienti, irrazionali, oltraggiose di buonsenso e convenienza – siano frutto di un’altra forma di disonestà, di un’altra forma di slealtà nei confronti dei cittadini; effetto di quella separatezza arrogante di chi occupa incarichi ed esercita funzioni pubbliche, ingaggiato, affiliato e arruolato grazie a una aberrazione meritocratica: comprovata fedeltà, devozione dimostrata e accertata docilità, e sulla base di criteri arbitrari, clientelari e discrezionali, in quella infausta ibridazione, in quel contagio reciproco delle aberrazioni del settore pubblico e dell’impresa privata. Ambedue comunque più attenti a soddisfare l’avidità degli azionisti di riferimento che a investire in produttività, a fare cassa anziché corrispondere ai bisogni, a fare soldi e non macchine.

Professori che non sanno far di conto, banchieri inadeguati a giocare a Monopoli, manager che non sanno organizzare il loro cassetto dei calzini, tutti segnati dall’ignoranza misoneista che alimentano come uno schermo protettivo, impreparati per nascita o privilegio acquisito a misurarsi con responsabilità e rischio, hanno come unico criterio di scelta la propria gretta esperienza e come unico obiettivo l’arricchimento delle proprie rendite di posizione.
Se mai sono scesi da un tram traballante, hanno voluto dimenticarlo in una spocchiosa e infame rimozione delle proprie origini, vissute come una vergogna. Perché succede così, perché non è sempre vero che dal letame nascono i fiori e che la povertà sviluppi dignità. Perché viviamo un tempo infelice nel quale il bisogno è un’onta inconfessabile, l’indigenza una punizione per chi non sa essere scaltro, il disagio una colpa da scontare con penitenze, sacrificio ed emarginazione.

Ma in che mani siamo? viene da dire, perché irresponsabilità, incapacità, inadeguatezza connotano in forma generalizzata e bipartisan ceto tecnocratico e classe politica, imprenditori e economisti, alte cariche e opinionisti. Qualche giorno fa la Bulgaria ha reso noto di non avere interesse all’ingresso nell’Unione Europea fino a che questa non avrà risolto i suoi problemi, e come condannare chi ne vorrebbe uscire o almeno sottrarsi dall’onere di quella “espressione” monetaria che è sempre stato l’euro.
I governi si gingillano ancora con gli spread in una serie di riunioni inconcludenti – che ne mettono in luce incapacità e impotenza e la resa incondizionata ai poteri della finanza internazionale –, la coesione sociale della compagine europea – di cui l’economia non è che una manifestazione, e neanche la principale – ha ormai imboccato la strada della dissoluzione e i loro santuari sono assediati dalla scontentezza trasformata in sdegno e poi in insurrezione. Perché ormai tutti sono coscienti che la crisi scoppiata nel 2008, che ha visto le politiche europee ridursi a una corsa affannosa prima per salvare le banche responsabili del dissesto, e poi per «rassicurare» i cosiddetti mercati, cioè gli speculatori che ingrassano sui debiti pubblici dei paesi membri, non ha solo fatto evaporare una unione artificiale, ma ha cancellato con la sovranità di stati e con l’autodeterminazione dei popoli, i diritti fondamentali e l’idea stessa di futuro.

Di questo disastro che ha travolto un intero continente (e con esso il resto del mondo), e delle scelte che l’hanno provocato, l’Italia è senza dubbio l’espressione più compiuta: l’inconsistenza dei suoi governanti, si tratti di «tecnici», di politici o di pagliacci a tutti i livelli territoriale è lo specchio fedele di una mancanza di prospettive e di alternative alla teocrazia del mercato ma soprattutto di una miseria intellettuale che accomuna tutto l’establisment mondiale, subordinato all’egemonia della finanza, compreso quello degli «emergenti» lanciati all’inseguimento di quel modello portandolo al parossismo e esaltando l’insostenibilità sociale e ambientale e la saturazione dei mercati dei beni inutili.
Adesso la questione “morale” è affar nostro, di noi che dobbiamo mostrarci leali con la dignità di uomini e l’onore della democrazia, come stanno facendo in Spagna, in Grecia, perché la “politica sotterranea” venga in superficie e diventi la politica di popolo.


Filed under: Anna Lombroso Tagged: corruzione, Europa, Roma, tram

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