E’ seduto sul margine della sedia; lo zainetto gli impedisce di appoggiare la schiena alla sedia; gli spallacci celesti raggrinziscono la maglietta grigia. I gomiti puntati sul tavolo permettono alle mani di sorreggere guance lisce sopra occhi concentrati.
Sfiora appena lo schienale della sedia, indossa una tee-shirt azzurra dello stesso colore del cerchietto sottile tra i capelli e orecchini piccoli sui lobi minuti. Tiene i gomiti in posizione speculare al compagno: i polsi si allontanano verso il centro del tavolo e poi ritornano ad appoggiarsi al viso.
Entrambi sono seri e concentrati: hanno lo sguardo fisso al centro del tavolo, mentre i piedi dondolano a mezz’aria sotto la sedia, senza arrivare a toccare il suolo. In mezzo a loro c’è una scacchiera sulla quale, nel silenzio assoluto, si sta svolgendo un’acerrima guerra.
Il bambino e la bambina non si guardano: le loro intenzioni si svelano solo attraverso il movimento dei pezzi tra i quadrati bianchi e neri. Muovono poco le dita minute, per afferrare la testa di un pedone o spostare un alfiere,, poi sfiorano il pulsante del cronometro e riportano le mani accanto al corpo.
Il bambino è teso, si sporge sul tavolo verso il campo di battaglia: calcola a mente mosse e contromosse e si prende tempo prima di agire; la bambina sembra sprofondata in un mondo tranquillo di dita sottili e movimenti leggeri, quasi ritratta dal campo d’azione: la cinghia di una micro borsetta arrotolata sul polso dondola al ritmo delle caviglie. Muove veloce l’esercito, senza apparenti riflessioni.
I pezzi si accumulano ai due lati della scacchiera: a poco a poco quelli catturati al bambino diventano così numerosi che la bambina non riesce più a disporli con ordine e così rimangano ai bordi, nei ranghi rassegnati dei soldati sconfitti.
Poi rimane solo il re di lui nel centro del campo ma la partita è lontana dall’essere conclusa: inizia una lenta ed inesorabile caccia in tutti i poli cardinali. Accerchiato, il re resiste dignitoso, svicola, fugge, si ritira, avanza, osa, rincula. E’ inutile: la bambina solleva un dito sottile e sussurra al giudice di gara: “scacco”. Poi si adagia un poco sullo schienale della sedia. Ancora i due giocatori non si guardano, non riconoscono la reciproca presenza.
Il bambino è raggomitolato a palla e scoppia in un pianto che lo libera dalla tensione della lotta rivelando il dispiacere, mentre il padre lo abbraccia da dietro la sedia e tenta di consolarlo.
La vincitrice rimane seduta, composta, con l’espressione stranita di chi rientra da terre di immaginazione lontane, senza traccia di sorriso sul volto: solo gli orecchini oscillano piano pendendo dai lobi minuti, mentre alza il nasino a punta ed inizia a mettere a fuoco il mondo che la circonda.
Como, 12 maggio 2012. Broletto, torneo di scacchi giovanile agli occhi di chi di scacchi non sa proprio nulla ma si è fermata ad osservare un “esercizio di pensiero”.