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Gennaio 2016

Creato il 24 gennaio 2016 da Unarosaverde

Ciao! Come state? Io sto. Sto, come al solito. Cambiano le condizioni al contorno, ma il centro della scena resta lo stesso. Negli scampoli di vita, dall’inizio dell’anno, mi occupo di altro. Finiti i corsi di cucina – non del tutto, ce ne saranno altri, qua e là, ma molto meno intensi rispetto all’impegno con cui mi ci sono dedicata nei mesi scorsi – mi sono trovata altro da fare. la mia lista di cose da imparare è lunga e quello che non è in lista, se mi interessa, si aggiunge.

Una delle nuove attività e, in realtà, un vecchio e mai perduto amore: sono tornata in piscina. Per la quarta o quinta volta, da quando mi sono fatta male al ginocchio, precludendomi qualunque attività che si svolga in posizione eretta – per fortuna che lavoro con il sedere saldamente ancorato ad una sedia -, sto provando a ricominciare a fare sport. Piscina, due albe a settimana, prima dell’ufficio, corso con istruttore FIN. Vediamo questa volta quanto dura. Di bello c’è che in acqua sto un gran bene, sia mentre nuoto, sia mentre faccio la doccia e tento di recuperare un colorito meno cianotico. Il nuoto è uno sport autopulente, l’unico in cui sudi, ma ne esci comunque linda.

La seconda nuova attività, invece, occupa una sera a settimana: breve corso introduttivo di fotografia, proprio breve, cui però seguiranno attività annuali del circolo fotografico locale. Fino a due settimane fa non avevo mai usato la mia reflex – una Nikon D40 senza nessuna pretesa se non quella di essere adattissima ad una principiante -in una modalità che non fosse quella automatica. E invece adesso la nebbia che avvolgeva concetti come “esposizione”, “diaframma”, “tempi”, “luce”, si sta pian piano dissipando. Bello, no? Sarebbe bello riuscire a fare qualche scatto sapendo cosa sto facendo.

Il lavoro fa il suo corso. In questa frase ci sono racchiuse tutta la mia mancanza di entusiasmo e la mia frustrazione che se ne vanno a braccetto e si fomentano l’una con l’altra in un gioco al ribasso. L’immane quantità di tempo che si perde in un’azienda a correre dietro al nulla invece di tirarsi su le maniche e affrontare i problemi seri, per eliminarne le cause, potrebbe essere oggetto di serie indagini. Noi invece preferiamo riderci su, alla Quo vado (sì, confesso che l’ho visto, ma l’ho visto come se fossi stata una protagonista di questa ode all’italiano medio, cioè nella sua versione piratata), così è più facile sia adattarsi che lamentarsi. Il problema, dice mio padre, che mentre mi annoio io penso e pensare, tradotto negli effetti pratici, significa che gli invento qualcosa da fare. In questo momento sto lavorando ad un restyling della mia adoratissima camera, con tanto di progettino, (non è che qualcuno di voi ha cassettiere o altro della cameretta Play della IVM degli anni 60 che gli avanzano?!) che prevede la collaborazione di un falegname in gamba – incarico al momento vacante – e una levigatura dei parquet. Quest’ultima faccenda, da svolgersi in primavera, prevede lo svuotamento di un paio di stanze: da quantificare in ore mulo, non ore uomo.

Per fortuna ci sono stati altri film, molto più utili ad aggiungere spunti al mio immaginario: Il ponte delle spie, Revenant, Carol…la scena dell’orso che gioca con un corpo umano come fosse un sacchetto di patatine si farà sicuramente strada nei miei sogni. C’è anche qualche libro, di ogni tipo di genere: “Woody”, simpaticissimo e molto tenero, “Il fattore D”, vero e deprimente, un romanzo rosa di Lucinda Riley – non chiedetemi il titolo, volevo solo capire come scrive, e scrive come vanno scritti i romanzi rosa: poca testa richiesta, tutti i drammi e colpi di scena immaginabili, il meraviglioso bacio finale-, “Il diario segreto di Maria Antonietta, di cui non ho capito l’utilità, però ho sperato fino alla fine che arrivasse Lady Oscar; un paio di romanzi di Michael Connelly per andare sul sicuro, Preghiera per  Chernobyl, per agghiacciarsi un po’, Il teorema del pappagallo – ma è noiosissimo, e l’ho chiuso quasi subito, infilandolo nel mucchio di libri ai quali trovare un nuovo padrone. Robe così, insomma, senza coerenza, senza illusioni.

E così è, la parte del “faccio cose” di questo mese, scritta al ritmo dei Bruskers.

Poi ci sono le faccende serie, quelle alle quali penso mentre guido, andando e tornando, quelle che meriterebbe ognuna almeno due post, ma ultimamente ho le parole annodate, corrono dietro ai pensieri. C’è la consapevolezza che devo trovare una soluzione seria per la mia noia intellettuale lavorativa, altrimenti avrò davanti anni di desolazione, e io non ho mica voglia di desolarmi. Ci sono le brutte notizie, di persone forti che devono continuare ad esserlo, e che lo faranno, nonostante tutto, perchè lo sanno che, da qualche parte, ci sarà sempre e ancora una piccola parte di felicità per ognuno di noi. C’è la giovane milionaria, bella, non completamente priva di neuroni, e vittima di un carattere cui nessuno ha mai messo freni che si rivolge alla cameriera che la sta servendo con una tale maleducata veemenza, per una faccenda di nulla, che non puoi fare altro che provare una pena infinita per lei, per la potenzialità perduta, e rabbia, perchè devi contare fino a tremila per fare finta di non aver sentito e per farti passare la vergogna che provi per lei, e per te stessa, che non hai (ancora) il coraggio di farglielo notare perchè suo padre ti paga lo stipendio. E c’è la costante presenza della mancanza, continua, in ogni momento. E molte altre cose che, chilometro dopo chilometro, si intrecciano e si confondono, tra lo smog della città e i chiaroscuri delle gallerie che risalgono la strada, verso la valle, in questo gennaio freddo, ma non troppo, secco e inquinato. Un altro gennaio.


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