Mario Draghi
Se la politica italiana pare vivere guardando all'indietro, appesa alle vicende giudiziarie di Berlusconi, alle telefonate della Cancellieri, ai litigi e alle scissioni nei partiti e a misure economiche una volta di più ancorate al principio delle privatizzazioni selvagge delle - poche - aziende pubbliche sane rimaste nel Paese secondo la sciagurata logica del privatizzare i profitti e socializare le perdite, non può che spaventare l'assoluta evanescenza forzata in cui si trovano le istituzioni europee, imprigionate ormai da anni in un limbo che le rende qualcosa di più di un semplice consesso di rappresentanti di diverse nazioni ma qualcosa di meno di un insieme di organismi di governo a livello continentale.
Per Paesi come l'Italia questo doppio vuoto di potere costituisce uno stato di estremo pericolo, ma anche per Paesi caratterizzati da governi nazionali più forti e incisivi l'assenza di adeguate strutture politiche a livello continentale è foriera di cambiamenti in peggio nel prossimo futuro: la competizione economica mondiale si svolge ormai a livelli in cui gli Stati europei, presi singolarmente, non sono in grado di competere con successo, e questo vale persino per la Germania.
L'avere regolamentazioni, normative, incentivi, sanzioni, programmazioni o investimenti a livello europeo è quindi una semplice necessità storica ed economica, che si pone e deve essere affrontata a prescindere del livello di competenza e potere - o persino della stessa esistenza - delle istituzioni delegate a prendere tali provvedimenti.
Non bisogna quindi stupirsi se continuano ad aumentare le competenze dell'unico ente realmente attivo, operativo e strutturato a livello continentale, la Banca Centrale Europea. Questa progressiva concentrazione di poteri, tuttavia, sta portato l'istituzione di Francoforte a prendere in carico attività ben al di fuori del proprio mandato e della propria missione; e questo a sua volta genera da un lato problemi di efficacia di azione, e dall'altro situazioni di pericolosi conflitti di interesse.
Tra circa un anno la BCE assumerà, nell'ottica di una sua progressiva equiparazione ad una vera e propria banca centrale in stile FED, il controllo delle attività di supervisione delle banche, che eserciterà direttamente sugli istituti di credito più importanti (14 quelli italiani) e attraverso le banche nazionali per i restanti.
Grazie al "Meccanismo unico di risoluzione" la BCE avrà il potere di imporre stress test ben più duri di quelli esercitati dal'EBA nel 2010 e nel 2012 e imporre la liquidazione - ovvero la chiusura - delle banche che non dovessero superarli. La difesa della stabilità della moneta, la lotta all'inflazione e il rigore nei bilanci sono le armi che la BCE mette in campo per la salvaguardia dell'economia dell'Eurozona, di fatto le uniche armi possibili nella paradossale situazione di un'unione monetaria senza un budget significativo.
Tuttavia la BCE fa anche parte della Troika assieme alla Commissione Europea e al FMI, e si è dotata di armi di salvaguardia dell'economia tra cui spicca l'OMT introdotto da Draghi, ovvero l'acquisto illimitato di bond governativi sui mercati.
Questo significa che l'istituto guidato da Mario Draghi è entrato a piè pari, e non certo da ora, nella sfera della politica economica, in qualche modo sostituendosi a istituzioni politiche troppo evanescenti.
L'avvio delle attività di sorveglianza sugli istituti di credito rischia però di ingenerare conflitti di interesse tali da aprire crepe fatali nell'istituzione di Francoforte: da un lato l'immissione di liquidità è in questo periodo di crisi uno strumento necessario per la stabilizzazione dei mercati e aiutare gli Stati in difficoltà, ma dall'altro costituisce una droga in grado di tenere surrettiziamente in vita banche altrimenti insolventi, dei veri e propri zombie finanziari la cui dissoluzione avrebbe tuttavia effetti concreti e pesanti sulla vita di milioni di cittadini correntisti e migliaia di piccole aziende che dai finanziamenti di queste banche dipendono. E tuttavia la forza della BCE sta proprio nella sua autorevolezza: gli stress test che Draghi dovrà imporre agli istituti di credito dovranno essere necessariamente severi e le azioni intraprese dalla BCE come conseguenza di tali test inderogabili.
Eppure il fatto che a decidere saranno chiamate le stesse persone - i sei membri del direttivo più i governatori delle banche nazionali - che già si occupano di politica monetaria evidenzia un caso eclatante di conflitto di interessi, sebbene ad oggi Draghi minimizzi e parli di un chinese wall tra le attività di supervisione bancaria e politica monetaria.
La realtà dei fatti è tuttavia che con ogni probabilità si inizieranno a vedere persino nella Banca Centrale Europea le stesse crepe nazionalistiche che stanno affossando l'Unione politica, con conseguente perdita di prestigio, potere e autorevolezza dell'unico ente europeo che oggi costituisce un patrimonio spendibile a livello planetario.
L'eccesso di potere concentrato in una singola mano rischia in ultima analisi di snaturare il ruolo della BCE stessa, facendo regredire anziché progredire la costruzione dell'Unione Europea trasformandola in una tecnocrazia bancaria in cui la stabilità di bilancio diventa l'unico bene da preservare, incuranti dei costi economici e sociali che questo comporta.
L'assenza di organismi politici europei dotati di potere e statura tali da poter scavalcare i nazionalismi di ritorno rende l'Unione una nave senza timoniere e senza timone, in balia di correnti politiche, economiche e sociali che ne stanno piegando gli ideali delle origine e che rischiano di trasformaree il Vecchio Continente in una prigione finanziaria.
La miopia dei governi nazionali, ed il bieco sfruttamento delle paure della popolazione di perdere sovranità utilizzato dai populismi in ogni Stato, stanno lentamente paralizzando l'organismmo comunitario; in un circolo perverso meno potere viene dato all'Europa più gli organismi sovranazionali perdono di utilità e più diventa semplice togliere loro ulteriori poteri in futuro. Se questo gioco al massacro non avrà termine il sogno di Schuman e De Gasperi, di Monnet e Spinelli, non potrà che trasformarsi in un incubo.