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Il taglio dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea è la conseguenza del fallimento delle politiche di Francoforte. Perché anche una politica monetaria espansiva ha ben pochi effetti se unita a una politica fiscale restrittiva, come il caso dell’Europa ben spiega
Applausi per Draghi dopo il taglio ai tassi di interesse, portati da 0,5% a 0,25%. Le Borse sono salite, lo spread sceso, l’euro si è un po’ deprezzato verso dollaro e yen. Tutto bene, dunque? Non proprio. In realtà la mossa della Ecb è la spia di un problema ben più grave, anzi, è la conseguenza del fallimento sostanziale delle politiche di Francoforte. Come ben sappiamo, la Ecb è responsabile solamente della stabilità dei prezzi (e del sistema finanziario) e non si occupa di altre variabili macroeconomiche. Come la maggior parte delle altre banche centrali decide un livello di inflazione – inflation targeting – e usa gli strumenti a sua disposizione, liquidità e tassi di interesse, per ottenere un certo livello dei prezzi. Cosa però in cui ha ultimamente clamorosamente fallito, visto che l’inflazione programmata a livello europeo è del 2%, ma gli ultimi dati parlano dello 0.7%, con paesi come la Spagna che sono ormai in deflazione e l’Italia che si sta avviando sulla stessa strada, contribuendo a peggiorare la dinamica del debito.
Questo è il risultato di forze convergenti e correlate. Quasi tutte le altre grandi economie mondiali agiscono attivamente sul mercato della moneta: gli Stati Uniti con i quantitative easing hanno invaso di dollari il mercato mondiale. La Cina continua a manipolare il valore dello yuan per sopperire artificialmente all’eccesso di capacità produttiva, esportando merci e disoccupazione vero il resto del mondo. Anche la Banca del Giappone, con la Abenomics, ha preso un piglio decisamente interventista, svalutando fortemente lo yen per rilanciare l’industria nipponica. Davanti a tutto questo, la Ecb è rimasta sostanzialmente passiva, lasciando che l’Euro si apprezzasse contro tutte le principali valute, mettendo ulteriormente sotto pressione l’economia del Vecchio Continente. Per mesi non si è fatto assolutamente nulla, negando in fieri l’esistenza del problema. In fondo praticamente tutti i paesi europei stanno registrando surplus nella bilancia dei pagamenti, quindi il valore dell’Euro è equilibrato. Niente di più sbagliato: nei paesi mediterranei il surplus è soprattutto il risultato della depressione della domanda interna che ha portato ad un calo delle importazioni, ed infatti la produzione industriale in Italia è tuttora in discesa, altro che volano delle esportazioni. Eppure, nonostante questo, molti ed autorevoli membri della Bce – soprattutto, i tedeschi – si sono opposti al taglio di interessi sia in quest’ultima tornata, che in quella precedente.
Il problema, come sempre, è la disparità economica nell’area euro. L’euro è troppo forte per i Pigs, ed anche per la Francia – il livello critico del cambio dollaro/euro è stimato attorno a 1,24 per Parigii e 1,17 per Roma – mentre è entro livelli di controllo per la Germania – che andrebbe sotto pressione solamente attorno a 1,80ii. Nuovamente, l’Europa e le sue istituzioni non lavorano per il bene comune, ma ogni paese ha in mente solo i propri ristretti interessi, con Bundesbank e governo tedesco ancora ossessionati dall’inflazione e pronti ad opporsi ad ogni manovra inflattiva anche in una situazione di prezzi stagnanti e disoccupazione rampante.
di Nicola Melloni - http://www.sbilanciamoci.info/
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