Lei era quella che diceva che i sentimenti tiepidi non servono.
Era quella che invidiava chi non aveva visto né sentito.
È quella che è stata arrestata, picchiata, avvelenata e poi uccisa: per la sua passione, per le sue parole, per la ricerca della verità e l’instancabile denuncia.
I suoi assassini (che hanno agito in pieno giorno, in città, e a volto scoperto) sono stati identificati: ma l’hanno scampata.
Perché in Russia funziona così ancora oggi: quando il mandante di crimini (contro l’individuo o contro l’umanità) è lo Stato centrale (e lo Stato Centrale è Vladimir Putin), tutto rimarrà insabbiato. Impunito.
Succede con le sette xenofobe che si permettono di torturare e uccidere gli immigrati, succede con l’esercito che ha licenze barbariche di ogni tipo, succede con gli esecutori materiali della repressione di qualsivoglia dissenso.
La connivenza tra l’istinto servile del popolo e della stampa, il potere totalitario, i servizi segreti, l’esercito e la giustizia in Russia è mortale.
Quando leggo questi libri, tutto sommato riscopro il piacere di vivere in uno stato mediocre: ma mediocre anche nell’efferatezza.
Benedico i nostri giornalisti d’indagine, la nostra informazione in rete, i nostri magistrati saltuariamente agguerriti, le nostre piazze: perché il dissenso (per quanto minacciato, censurato, deriso e poco produttivo) non produce morti, e crea un equilibrio. Difficile, certo.
Beati quei paesi che hanno un’opposizione possibile. Anche se ridicola, anche se gestita dalle persone sbagliate, anche se.
Beati quei paesi che hanno tribunali parzialmente svincolati dal potere politico, perché qualche speranza ce l’avranno sempre.
Anna Politkovskaja, tre metri sotto terra, non ne ha più neanche mezza.
Cecenia, il disonore russo
Anna Politkovskaja
Fandango Libri