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Bel Paese vuol dire fiducia

Creato il 14 settembre 2011 da Albertocapece

Bel Paese vuol dire fiduciaDa oggi possiamo essere fiduciosi, di quella fiducia adottata dalla Camera per far passare la manovra. Fiduciosi in compagnia di Tremonti, Berlusconi, Scilipoti, Bossi: non possiamo avere più alcun dubbio che con loro il default sarà inevitabile. In disaccordo su quasi tutto, alle prese con un piano di aggiustamento finanziario iniquo, insufficiente, cucito con lo sputo per motivi elettorali, aggrappati con le mani adunche ai loro seggi.

Lo spettacolo dovrebbe essere vietato ai minori di 16 anni, per quanto è intimamente degradante: il dramma di un’Europa che non sa trovare una via di uscita dai suoi totem e tabù liberisti che si trasforma in farsa, in atellana oscena a Roma con i vari Maccus, Pappus, Bucco e Dossegnus, lo sciocco , l’avaro, il vanaglorioso, il furbo, che si contendono i resti di un Paese.

Un Paese che hanno trascinato alla malora. Adesso, qualunque cosa ne dica Bruxelles, rischia davvero di essere troppo tardi: il debito pubblico aumenta, aumenta l’interesse sui titoli di Stato, anzi quasi raddoppia e un Paese paralizzato da troppi anni di immobilismo guarda esterrefatto il precipizio, senza sapere bene cosa fare o come reagire, mentre ognuno cerca uno scampo personale o nella cesta di cricche e clan. Oh si, Bruxelles dove Silvio Berlusconi cerca scampo dai giudici, dice anche che non ci sarà il default della Grecia, mentre esso c’è già stato perché i titoli di Stato ellenici danno ormai interessi così alti che un cravattaro si vergognerebbe. E nessuno potrà ripagarli.

L’avanspettacolo che stiamo offrendo a tutto il mondo non è che l’intervallo di un dramma di un’Europa tutta a destra che si è trovata investita dalla crisi senza voler comprendere che essa metteva in causa i principi stessi sui quali si era avviata l’unione monetaria e lo stesso trattato di Lisbona: il mercato come regolatore universale, lo Stato ridotto ai minimi termini e il monetarismo finanziario come supervisore e garante della governabilità del sistema.

Ora si è scoperto che il mercato è instabile, soprattutto quando la finanza non è in relazione stretta con l’economia reale e tuttavia vengono riproposte le stesse ricette, come una cieca coazione omeopatica. Si, è davvero un dramma di cui mi lascerete ripercorrere un po’ la trama e gli eventi perché francamente mi è difficile comprendere come si sia potuto cadere in un perverso meccanismo da Comma 22.

Da circa quindici anni l’occidente ha cominciato a conoscere una calo della domanda sulla spinta del liberismo che predicava una diminuzione delle tutele sociali e in generale della spesa pubblica perché così la tassazione, soprattutto verso l’alto sarebbe stata minore rendendo l’economia più vivace. Non ci si è accorti che in questo modo si spingeva l’acceleratore su un’offerta che era già in surplus deprimendo ulteriormente la domanda. Questa risposta illogica e tutta ideologica, quasi pavloviana nella sua assurda meccanicità, ha avuto come conseguenza un’iniezione di instabilità: la finanziarizzazione dell’economia, con lo sganciamento della logica di profitto dall’economia reale e strumento precario per sopperire alla carenza di domanda. Ciò questo ha prodotto le varie “bolle” e il loro scoppio, compresa l’ultima, nata nel 2009 che ha creato una quantità di denaro fasullo parai a 40 volte il pil statunitense.

Ma questo non ha portato ad alcuna riflessione e mentre i Paesi occidentali mettevano in crisi i loro bilanci per ripianare i debiti privati  ( tra Fed e Bce si parla di cifre intorno – tenetevi – ai  13.000.000.000.000 di dollari ) chiesti e pretesi proprio dai sostenitori del liberismo, proprio da quelli che oggi chiedono assoluto rigore nei bilanci pubblici. L’Europa purtroppo è stata così sciocca da ascoltarli e ha pensato di pretendere maggior rigore ai bilanci degli Stati senza però mettere nè vincoli  e sanzioni agli operatori privati. Forte del catastrofico pensiero che i bilanci degli Stati siano assimilabili a quelle delle aziende, cosa che è una sciocchezza abissale.

Naturalmente maggior rigore vuol dire automaticamente tagli alla spesa pubblica, al welfare, ai servizi, alla scuola, alla progettualità futura che inevitabilmente finiscono per deprimere il Pil e aumentare il peso del debito. Una risposta assurda, ma anche cieca dal momento che il debito statunitense è superiore a quello medio europeo e quello giapponese è addirittura il doppio.

Certo, debito medio da cui l’Italia si distacca stratosfericamente. E tuttavia con altri governanti avremmo potuto far sentire le nostre ragioni, avere una credibilità. Sta di fatto che nel mirino principale sono finite la Grecia, già fallita nonostante i tentativi  di far finta che non sia così e l’Italia: guarda caso proprio i due Paesi dove la corruzione, l’evasione fiscale, l’opacità degli affari, la commistione pubblico-privato  sono i più alti del continente. E se la Grecia ci supera per qualcuno di questi parametri, noi compensiamo con un governo totalmente inaffidabile, oltre che repellente e ridicolo nel suo vertice.

Sarà solo un caso o ce la siamo andata a cercare idolatrando il non cambiamento garantito dal Cavaliere? Per questo ogni fiducia chiesta ci avvicina ancora di più al disastro. E capisco che l’uscita di scena di Berlusconi possa far saltare più tappi di champagne da noi che non un capodanno in tutto il mondo, ma i Cavalieri succedanei, già pronti e ai posti di partenza, non saranno in grado di fare molto di più. Intanto perché aderiscono entusiasticamente al Comma 22 liberista che governa l’Europa e poi perché saranno ancora più decisi nella macelleria sociale. E prima che quel che resta della sinistra avrà finito di brindare alla scomparsa del personaggio che essa stessa ha collaborato a tenere ben fisso sulla poltrona, si accorgerà di aver perso un’altra occasione di essere protagonista di una riscossa.


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