BELLA ADDORMENTATA (Italia 2012)
Eluana
Un giorno avevo la febbre. Mi capita più o meno ogni inverno di farmi venire uno di quei febbroni da cavallo che ti scatenano allucinazioni mistiche facendoti passare la voglia persino di respirare. Ero a casa da solo, e in quel periodo ero pure disoccupato. Insomma, una meraviglia. Sdraiato sul letto accendo pigramente la tv e alle mie orecchie, da un fastidioso accento lombardo – una voce ben nota – giunge notizia che una ragazza in coma da 17 anni non merita di riposare in pace perché tutto sommato potrebbe ancora avere figli. Ed è pure di bell’aspetto! Mi viene la nausea, vomito. In maniera ben poco metaforica, purtroppo. Complice anche la febbre, certo. In quel momento capisco che questo Paese è spacciato. Magari un giorno i fatti mi smentiranno, lo spero con tutto il cuore, ma per ora quel momento non è ancora arrivato, e continuo a pensare che l’Italia, se ha permesso al proprio primo ministro di dire certe cose senza pagarne le conseguenze in tribunale o magari in una piazza piena di forconi, sia un Paese morto, sepolto, finito. Come Eluana per 17 anni.
Il film
Al centro della vicenda c’è proprio il caso Englaro, intorno a cui, in un modo o nell’altro, ruotano idealmente tre vicende distinte: quella di un deputato del Pdl in crisi di coscienza e di sua figlia, fervente cattolica che si reca a Udine a pregare per Eluana; quella di un’attrice francese che accudisce la figlia in coma che se fosse ancora viva, sperando in un improbabile risveglio; e quella di un medico che cerca in tutti i modi di impedire a una tossica depressa di togliersi la vita. Tre storie, tre “belle addormentate”, tre donne che in modi diversi stanno morendo, tenute in vita con le unghie e con i denti da chi (il medico, la madre, il governo) non si vuole arrendere all’inevitabilità della morte. Quello che cambia sono gli intenti: per il medico si tratta di deontologia professionale (“Il mio mestiere è guarire chi sta male”, dice), ma forse anche di solitudine (“Ma non hai una casa?” “Sì, ma nessuno che mi aspetta”); per la madre, ovviamente, di amore materno, per quanto malato e slegato ormai dalla realtà; per il governo, invece, si tratta di mera convenienza (“Non si va avanti senza l’appoggio del Vaticano”).
Emergono le consuete ossessioni di Marco Bellocchio (la religione, la politica, la psicanalisi…) in questo film amaro, intenso, pesante e – devo ammettere, per quanto non ami particolarmente il regista emiliano – bellissimo. Spietato, a tratti grottesco e quasi pornografico (il rumore del respiratore della ragazza in coma è praticamente insostenibile) nel mostrare diversi tipi di sofferenza fisica e psicologica, Bella addormentata è un film importante che – come tutte le pellicole capaci di affrontare con intelligenza e profondità controversi episodi di cronaca, denunciando le storture e le menzogne che contraddistinguono il nostro Paese – andrebbe fatto vedere a tutti. Pure ai bambini delle scuole, che magari ne uscirebbero un po’ impressionati ma sicuramente arricchiti. Personalmente ho amato molto la storia della ragazza depressa (un’ottima Maya Sansa, mentre il medico è Pier Giorgio Bellocchio, figlio del regista, bravissimo anche lui), che dei tre episodi è quello più ricco di speranza, mentre ho trovato eccessivamente “carica” e opprimente la vicenda affidata a Isabelle Huppert (nientemeno), madre dall’amore malsano che si prende cura della figlia in coma conciandola come se fosse viva: troppo evidente il riferimento – soprattutto estetico – alle “belle addormentate” delle fiabe (persino il nome, Rosa, rimanda al racconto originale), e l’atmosfera “gotica” à la Rebecca convince solo a metà. Molto riuscita, invece, per quanto più scontata, la storia del deputato (un sempre grande Toni Servillo): bellissima l’idea di rappresentare gli onorevoli della Repubblica come antichi romani alle terme, depressi, pigri e indolenti. Passano i millenni, sembra suggerirci il regista, ma le dinamiche rimangono le stesse.
Fa incazzare, fa star male e fa pensare, questo film, che non è un capolavoro ma ci va molto vicino.
Alberto Gallo