16 SETTEMBRE – In un periodo travagliato per il mondo arabo, segnato da violenze e nuovi spargimenti di sangue, la trasferta di Benedetto XVI in Libano non passa certo inosservata. Il viaggio apostolico del papa, il 24° del suo pontificato, porta infatti un messaggio di speranza in una terra a lungo martoriata da lotte intestine, vicina alla Siria dei massacri civili e alle rivolte che insanguinano Egitto e Libia. Proprio mentre gli Stati Uniti ordinavano alle componenti non essenziali dei propri corpi diplomatici di lasciare, con le rispettive famiglie, il Sudan e la Tunisia –dove le ambasciate sono state assaltate a seguito delle proteste sollevate dal film “The innocence of Muslims”-; Joseph Ratzinger celebrava messa a Beirut. Vicini a lui, il patriarca dei cattolici maroniti libanesi Bachara Rai e il presidente della repubblica Michel Suleiman. “Bisogna servire giustizia e pace in un mondo dove la violenza non cessa –ha detto il pontefice- perché tutti possano vivere in pace e con dignità. La vocazione del cristiano è quella di servire come Cristo stesso ha fatto, gratuitamente e senza distinzioni, per tutti”. Nel City Center Waterfont della capitale libanese erano assiepati almeno 350.000 fedeli. Una location già in sé molto significativa, perché costruita a partire dalle macerie del conflitto civile che ha a lungo segnato anche questa terra culla di civiltà, il Paese dei Cedri. Alla presenza di circa trecento tra vescovi e patriarchi, Benedetto XVI ha sottolineato come l’esigenza di costruire la pace e la giustizia sia ormai un’urgenza. “Prego il Signore, in particolare, di dare a questa regione del Medio Oriente dei servitori di pace e riconciliazione. E’ una testimonianza essenziale che i cristiani devono dare in collaborazione con tutte le persone di buona volontà”.
Così si chiude un viaggio che ha avuto fin da subito un’aurea positiva di ecumenismo e dialogo. Appena giunto all’aeroporto internazionale Rafiq Hariri, tre giorni fa, il papa è stato infatti accolto, tra le varie autorità, anche dal premier sunnita Mikati e dal presidente dell’Assemblea dei deputati Nahib Berri, musulmano sciita. Ma il Libano rappresenta l’unico Paese medio-orientale in cui le minoranze sono protette ed i cristiani hanno gli stessi diritti politici dei musulmani. “L’equilibrio è molto delicato –ha evidenziato Benedetto XVI appena giunto a destinazione- Quando è sottoposto a pressioni di parte; bisogna dare prova di grande saggezza per favorire il bene comune”. Riguardo alla Primavera Araba, Ratzinger ha mostrato un’apertura notevole: “E’ positivo che esprima desideri di libertà, democrazia e che dia voce a gran parte della gioventù culturalmente più formata. Tuttavia, la storia delle rivoluzioni ci insegna che c’è sempre il rischio che insorga l’odio. Dobbiamo dare alla libertà la giusta direzione”. Proprio dal “grido di libertà” della Primavera araba, a suo avviso dovrebbe scaturire quell’atmosfera tollerante e aperta che sola può contrastare il terrorismo, una falsificazione che prende la religione a pretesto di violenze ingiustificabili.
La trasferta in Libano, però, è destinata a lasciare il segno anche per l’attacco di Benedetto XVI al traffico di armi che permette la continuazione della guerra in Siria e per la firma dell’esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”. Riguardo al mercato delle armi, il papa lo definisce per tutta la comunità dei credenti un “grave peccato”, in quanto è l’elemento principe dei massacri, senza il quale le lotte non potrebbero protrarsi a lungo. “Anziché le armi, bisogna importare idee di pace” ha specificato. Ecclesia in Medio Oriente è invece il documento apostolico con cui si esorta la cristianità a farsi portavoce di soluzioni condivise, di progetti di convivenza pacifica tra fedi diverse, per evitare sia il laicismo esasperato che il fanatismo.
“Come è triste vedere questa terra benedetta soffrire nei suoi figli che si sbranano tra loro con accanimento, e muoiono!” si legge nell’esortazione. Benedetto XVI invita quindi i cristiani a stare lontani da situazioni politiche che potrebbero travolgerli per l’odio innato che le contraddistingue, così da non rendersi complici delle atrocità commesse. Il pensiero corre veloce ai massacri compiuti, nel 1982, nei campi palestinesi di Shatila e Sabra, ad opera delle Forze Libanesi cristiane su ordine di Israele. Ma non si tratta di un episodio isolato se si riflette anche sul numero dei cristiani che sostennero l’invasione israeliana in Libano, e alla grande quantità di coloro che supportano il Baath siriano o ancora Hezbollah. Non esistono insomma formule magiche per risolvere l’intricata matassa medio-orientale, secondo papa Ratzinger, ma la sola buona volontà di costruire la pace oggi e ogni giorno.
Silvia Dal Maso