“Abbiamo scelto di stare qui a Napoli e non altrove, perché noi crediamo che se questa città cresce, cresciamo anche noi. Non chiediamo soldi, ma semplicemente di avere anche noi un’opportunità.” Poche parole pronunciate da uno dei cinque registi stranieri rifugiati che hanno realizzato il docu-film “Benvenuti in Italia”, presentato venerdì 27 gennaio in contemporanea in cinque città. C’è da ammirare persone che come loro hanno dovuto imparare una lingua e crearsi una vita in un Paese così complicato e differente come il nostro. Di certo è emerso il grande impegno e l’energia che queste persone profondono per crescere individualmente e al contempo sostenere e far avanzare la propria comunità. Nell’incontro di Napoli è stata evidente la grande energia della comunità africana.
Tra i racconti del docu-film degni di nota: “Chez Margherita”
Sempre ben vestita con colorati abiti tradizionali del suo paese, Margherita Bambara è la padrona di casa di una piccola pensione, ristorante e ritrovo dei burkinabè a Napoli. È anche una rifugiata. Ha lasciato il suo paese e i suoi figli perché il marito la picchiava e minacciava di ucciderla. “Chez Margherita” è il posto dove tutti i fratelli africani trovano alloggio. Se hanno soldi contribuiscono all’affitto. Sennò mangiano e dormono gratis. Ma per Margherita diventa un problema continuare a pagare il canone mensile. Dipinta con ironia e delicatezza, la storia vera al centro del corto di Hamed Dera, rifugiato ivoriano, è uno dei cinque lavori del film documentario “Benvenuti in Italia”, realizzati da altrettanti rifugiati. Un opera ben riuscita che ha poco da invidiare ai migliori documentari italiani sul tema delle migrazioni. Margherita, ripresa nella quotidianità, buca lo schermo. Quando va a fare la spesa e quando a fine giornata segna su un quaderno i crediti dei tanti clienti che non pagano, domina la scena con battute divertenti o riflessioni amare, ma soprattutto con la forza delle donne africane. Hamed Dera ha incontrato Margherita nel ghetto di Pianura, prima dello sgombero. Lì, in quelle condizioni precarie, Margherita aveva già impiantato una piccola attività. Poi è andata a trovarla con la telecamera anche a Napoli per raccontare uno spaccato di vita dei migranti con il quale gli italiani entrano difficilmente in contatto. ” Da bambino sognavo di diventare un cineasta e di poter partecipare al Festival del Cinema Africano a Ouagadougou. Spero che il grande sogno diventi realtà” dice il regista.
http://www.giornalisti.redattoresociale.it/2012/1/25/benvenuti-in-italia.aspx
E “Una relazione”
Il razzismo diventa il tema centrale del documentario firmato dall’unico filmmaker esperto del gruppo di cinque autori: Dagmawi Yimer, rifugiato etiope già noto per altri documentari di successo, tra cui “Come un uomo sulla Terra”. La telecamera di Yimer segue le performance dell’attore senegalese Mohamed Ba, trapiantato a Milano. L’attacco è ironico. Ba sottolinea di essere “italianizzato” perché vive nel paese da 12 anni. “Ma un tronco d’albero può stare in acqua per secoli e non diventerà mai un coccodrillo” spiega Ba davanti ai bambini di una scolaresca. Con l’attore afferriamo pillole di una vita a metà fra il Senegal e l’Italia, profondamente segnata dal viaggio. “Mio nonno mi accompagnò in aeroporto – dice Ba – e mi disse: caro nipote ti auguro di fare un bel viaggio e di non rincorrere l’avere. Rincorri il sapere perchè prima o poi sarai tu a dover gestire quello che hanno trovato loro”. Ma la cultura di Ba nulla può contro la violenza che irrompe quando il 9 dicembre del 2008 un trentenne italiano con la testa rasata lo accoltellà ripetutamente all’addome, lasciandolo esangue alla fermata dell’autobus. Qui comincia la parte più drammatica del corto “Una Relazione” di Dagmawi Yimer. Un pugno nello stomaco per gli spettatori, una riflessione breve e intesa sulle conseguenze del razzismo sulle strade d’Italia. http://www.giornalisti.redattoresociale.it/2012/1/25/benvenuti-in-italia.aspx