NOTIZIE (Milano). Il presidente della Lega Serie A, Maurizio Beretta, è intervenuto oggi negli studi di Sky Sport24 HD.
Sulla data e l’orario della finale di Coppa Italia.
Adesso stiamo ragionando, ci stiamo confrontando con tutti. Noi pensiamo che la collocazione naturale sia quella fissata da tempo, cioè il 26 maggio e tendenzialmente a un orario di prima serata, secondo gli impegni che sono stati assunti contrattualmente. Dopodiché ci stiamo confrontando con tutti i soggetti istituzionali, con grande attenzione e rispetto reciproco. Stiamo intanto definendo però un programma che comunque intendiamo sviluppare con la forte collaborazione delle due società, per costruire eventi, appuntamenti e momenti di distensione in modo di arrivare comunque alla giornata del derby e della finale con un clima più sereno, disteso tra le tifoserie, come è giusto che sia.
La volontà della Lega è di andare oltre le tensioni del passato, grazie a queste iniziative?
Il nostro obiettivo evidentemente sarebbe quello: noi pensiamo che dobbiamo fare un lavoro importante, in profondità per togliere questi fenomeni degenerativi, peraltro di piccolissime minoranze, che in qualche modo ricattano le società, i tifosi perbene, in questo caso anche una città. Quindi ci auguriamo che lo sviluppo di questo piano possa essere accolto dalle autorità e quindi consenta di mantenere la data e l’orario previsto. Poi, ripeto, pensiamo che un confronto sia sempre utile, necessario e doveroso e lo stiamo facendo in maniera molto responsabile.
Per quanto riguarda gli stadi, quanto ci vorrà perché altri seguano il modello Juve?
Certamente, come dimostrano i casi di Juventus e Udinese, è possibile farcela da soli. Non è quello che è successo nel caso specifico in Germania, Inghilterra o Spagna, dove comunque sono state investite risorse pubbliche importanti. Noi non abbiamo mai chiesto, perché siamo consapevoli del quadro di finanza pubblica, interventi finanziari a sostegno delle società, ma un quadro certo che consenta tempi, snellimento delle regole e compensazioni per quanto riguarda l’investimento. Crediamo che sia tuttora una ricetta valida e proponibile per la situazione nella quale ci troviamo. Nella scorsa legislatura siamo andati a un passo dal chiudere con l’approvazione definitiva, speriamo che questo percorso riprenda rapidamente con la nuova legislatura.
Perché siamo così poco appetibili per gli investitori stranieri?
Io penso sia un problema generale, che va probabilmente oltre il mondo del calcio. Normalmente un investitore ha bisogno di regole certe, di un quadro normativo molto definito, nel quale valutare le sue operazioni di rischio. Se guardiamo agli stadi, ad esempio, questo è quello che oggi di fatto non c’è.
E per quanto riguarda il prodotto calcio italiano, nello specifico?
Nelle condizioni nelle quali operiamo, il prodotto del calcio italiano è un prodotto di grande vertice. Onestamente abbiamo portato squadre nelle fasi finali delle competizioni europee, è un campionato che vede un grande seguito con ascolti televisivi in crescita. Quindi il punto è un problema più generale, dove servono condizioni generali di appetibilità per gli investimenti. Il fatto che ci siano comunque società italiane che sono oggetto di riflessione, di attenzione, di interesse, credo che vada valutato come un elemento positivo, che dimostra come ci sia comunque un patrimonio di valori che esiste e che ha un grande potenziale.
Forse quindi è proprio l’Italia a non essere così tanto appetibile per gli investitori stranieri?
Questo sta nei numeri statistici dei cosiddetti investimenti diretti esteri. Poi anche lì è giusto confrontarsi sempre con i migliori, perché dobbiamo fare questa attività di benchmark, ma è chiaro che se noi vogliamo prendere sempre come riferimento la Germania o la Gran Bretagna, sono paesi che corrono a dei ritmi importanti e nel confronto con la Germania io credo che il calcio, rispetto a tanti altri settori, non sfiguri.
Se potesse rubare una cosa dalla Germania o dall’Inghilterra, cosa prenderebbe?
La risposta è facilissima: gli stadi di proprietà rappresentano una differenza abissale nel modello di business delle società, nelle capacità di fidelizzazione rispetto ai tifosi, rispetto a chi vuole andare allo stadio, ampliano il mercato potenziale, perché aprire gli stadi ai giovani, ai bambini, alle famiglie è anche un investimento sul futuro. Basti dire che in Germania, così come in Inghilterra, gli stadi rappresentano all’incirca un terzo dei ricavi medi delle società e in Italia siamo alla metà di quel terzo, quindi siamo a circa un sesto. Questo, da un lato, rappresenta un territorio fertile su cui operare: il giorno in cui avessimo stadi di proprietà, le società italiane, a differenza di altre che hanno già quel modello consolidato, potrebbero avere una crescita di ricavi importante, ma è ovvio che in questi anni e ripetendosi anno dopo anno questa situazione comporta un gap, una penalizzazione di partenza sempre più forte per le società italiane rispetto a quelle inglesi, tedesche e spagnole.
Che reazione ha avuto, in Lega, la proposta del campionato riserve?
Sono due meccanismi diversi: il campionato delle riserve, anche se il termine non mi piace, penso più a un campionato Under 21, è un problema che può essere – con l’autorizzazione della Federazione –sufficientemente facile da realizzare, perché è sostanzialmente nelle mani della Lega e delle sue società. Diversa è l’idea di poter iscrivere le seconde squadre delle squadre di A in campionati diversi, perché servirebbe l’assenso vincolante della Lega di competenza e una forte maggioranza in Consiglio Federale. Ad oggi queste cose non ci sono. Se noi pensiamo a un campionato Under 21, fatto dalle società di Serie A, un campionato autonomo che si aggiunge alle competizioni esistenti e non va a inserirsi in quelle che ci sono oggi, io penso che sia a portata di mano e lo possiamo fare.
Avete già coinvolto delle società ottenendo la loro adesione.
Sì, c’è un interesse, una disponibilità e credo che su quello non dovremmo avere particolari problemi, dal punto di vista del consenso a livello federale. E certamente non li avremo il giorno in cui si deciderà di andare in questa direzione, non avremo problemi organizzativi perché siamo in grado di metterlo in piedi senza troppi problemi.
Sulle polemiche De Laurentiis-Cellino.
Penso che, onestamente, a cinque giornate dalla fine, un po’ di polemiche siano il sale e poi, avendo anch’io fatto parte di questa categoria, danno lavoro ai giornalisti.
Se le polemiche ci possono anche stare, non ci possono stare invece gli episodi di razzismo.
Su questo c’è un impegno a tutti i livelli che parte dalle grandi istituzioni del mondo del calcio, alla Lega e alle singole società. Il lavoro è costante e vede onestamente molto coinvolte le società, senza riserve. Io penso che naturalmente anche in questa direzione servano campagne, forti elementi di sensibilizzazione e credo anche serva, rivedendo i teppisti prima del derby, un salto di qualità nel sistema sanzionatorio. Bisogna andare a sanzionare in maniera molto severa e molto decisa i singoli responsabili perché oggi troppo spesso questi cori razzisti ricadono in una logica che vede forse un eccesso di responsabilità oggettiva e spesso abbiamo piccole minoranze che usano o possono usare fenomeni veramente odiosi come questi atteggiamenti razzisti come elementi di ricatto nei confronti delle società, che invece sono tutte fortemente impegnate contro questi fenomeni.
È già tutto pronto per la consegna dello Scudetto alla Juventus?
La regola normale è che si usi la partita di casa disponibile quando il quadro è definito. Sicuramente non in questa settimana. Anche perché se ci sono le condizioni è giusto accompagnare il massimo di organizzazione per una festa importante e quindi, tenendo conto di questo, che laddove non si decide all’ultimo minuto, in realtà si cerca di privilegiare l’ultima partita in casa per organizzare, a fine competizione, il massimo di festa per chi appunto fregiarsi del titolo.