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Bergoglio lava più bianco. La rivoluzione a parole di papa Francesco.
Creato il 14 settembre 2013 da GiannaQuello che maggiormente sorprende in questa prima fase di permanenza alla guida della Chiesa di José Mario Bergoglio è il coro pressoché unanime di consensi che l’ex arcivescovo di Buenos Aires sta raccogliendo, da destra a sinistra, nel mondo cattolico come in quello laico…
Considerano questo papa una sorta di straordinario miracolo, il grande riformatore che rinnoverà completamente la Chiesa e le sue strutture…
Eppure è proprio del mestiere del giornalista andare nelle pieghe dei fatti, dei personaggi, analizzare le dinamiche per rilevare le contraddizioni ed i nodi eventualmente irrisolti e portarli poi all’attenzione ed alla riflessione di chi legge, piuttosto che limitarsi ad amplificare ciò che è già sotto gli occhi di tutti…
In realtà non si tratta di avere un pre-giudizio, sul papa o su chiunque altro. È anzi comprensibile il clima di entusiasmo e speranza che le prime parole ed i primi gesti di Bergoglio hanno suscitato in tanti credenti. Ma a chi scrive non compete essere supporter di nessuno, men che meno di chi ha un ruolo istituzionale, connesso ad un potere e ad una capacità di enorme influenza sulle masse…
Rispetto al papa-teologo Ratzinger, l’immaginario religioso di Bergoglio è intriso di un devozionismo molto tradizionale e popolare, fatto di madonnine oleografiche, di Gesù zuccherosi, indulgenze plenarie (nuovamente concessa a tutti i partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile) e fervorini contro il demonio. E di una Chiesa che resta l’unica solida guida per i credenti e l’unico strumento di salvezza. Il 12 aprile, ad esempio, parlando alla pontificia commissione biblica, papa Francesco ha ribadito che “l’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa”. Il 22 aprile, in un’altra omelia mattutina, ha detto con forza che Gesù è «l’unica porta» per entrare nel Regno di Dio e «tutti gli altri sentieri sono ingannevoli, non sono veri, sono falsi». Il giorno dopo, nell’omelia della messa con i cardinali nella Cappella Paolina per la festa di S. Giorgio, ha detto che «l’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile»…
Anche sul versante delle donne, non pare che da papa Francesco ci sia da attendersi grandi sorprese: «Siate madri, non zitelle», ha detto Francesco alle 800 suore convocate all’assemblea dell’Unione delle superiori generali l’8 maggio scorso. La castità, ha spiegato, deve essere «feconda», generatrice, come insegna la figura di Maria Madre. «Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza, intuizione di madre!». Insomma, le suore come indispensabili procreatrici spirituali, curatrici di corpi e anime altrui. Dal punto di vista teologico, la semplice riedizione del ruolo materno celebrato attraverso la figura della mamma acrobata che concilia casa e lavoro. Ma che non deve rinunciare all’accudimento dei figli come funzione che ne caratterizza la dimensione “naturale”, oltre che sociale…
Cambia la forma, non la sostanza
Insomma, alla fine di questa rapida analisi si può concludere che se i contenuti di papa Francesco non sono diversi dai suoi predecessori, il modo di comunicarli quello sì, è radicalmente diverso.In questa sua enorme capacità comunicativa Bergoglio appare simile al Wojtyla pope-star, quello che agitava la mani, ritmava i canti assieme ai giovani che assiepavano gli stadi… Ma a differenza di quest’ultimo l’attuale pontefice ha un’arma in più: riesce ad avere un rapporto quasi personale con la folla.. ..
Denunce a perdere
Quando invece parla, i temi affrontati dai discorsi di papa Francesco sono ispirati a concetti molto generici: la misericordia, il perdono, i poveri, le “periferie”, gli esclusi dal sistema, i poteri finanziari che schiacciano la dignità umana, l’amore e l’egoismo (una delle frasi più ricorrenti del papa è «non fatevi rubare la speranza»: l’espressione – la cui vaghezza è evidente a tutti – si ritrova anche nell’enciclica Lumen fidei). Mancano sempre i nomi, le circostanze, i responsabili. Cioè tutti quegli elementi che contribuirebbero a dare forza e profezia alle parole di un vescovo, quello di Roma in particolare. E questo vale anche per la visita del papa a Lampedusa, dove alla grande attenzione per le vittime non ha fatto da pendant quella nei confronti dei loro “carnefici”, cioè delle leggi e delle scelte governative italiane ed europee (legge Turco-Napolitano, legge Bossi-fini, respingimenti, sostegno a dittatori e autocrati nordafricani ed asiatici di ogni tipo, guerre e sfruttamento economico), che hanno consentito che il Mediterraneo divenisse un cimitero di disperati….
Valerio Gigante
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