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Berlusconi, Bossi, Bisignani. I tre Caballeros

Creato il 19 giugno 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Berlusconi, Bossi, Bisignani. I tre Caballeros Ieri a Milano udienza del processo Mills, il più “penalmente” delicato di tutti i procedimenti a carico del premier. Se dovesse essere accertata l’accusa di corruzione, infatti, scatterebbe immediatamente l’interdizione dai pubblici uffici con tutto quel che ne consegue. Berlusconi lo teme come la peste bubbonica e i suoi legali Ghedini e Longo, idem. Al contrario di quello che è accaduto nelle scorse udienze, ad attendere il presidente del consiglio non c’erano i 44 vecchi gatti di Villa Sorriso, rimasti senza Viagra dopo che la Santanchè li aveva scoperti che andavano a votare per i referendum, ma neppure il manipolo di contestatori irriducibili. Davanti al tribunale si è assistito a una scena surreale: nessuna presenza umana né animale, solo una foglia di fico mossa da un vento inesistente che è andata a posarsi davanti ai piedi di Silvio, una metafora autunnale fortemente bergmaniana. In aula, invece, una testimonianza estremamente interessante, quella dell’armatore napoletano Diego Attanasio al quale i legali del premier avevano cercato di accreditare il versamento dei 600mila dollari all’avvocato inglese. Alla domanda del pm De Pasquale: “È lei che ha versato all’avvocato Mills 600mila dollari?” la risposta di Attanasio è stata “Ma manco po’ cazzo”. Nonostante tutto, causa rogatorie internazionali, il processo riprenderà a metà luglio. Saltano quattro udienze e la prescrizione si avvicina. Cresce intanto l’attesa per il discorso di Bossi a Pontida. Questo fatto ci ricorda le manovre del senatur quando, l’estate, si presentava in canottiera ai giornalisti e rilasciava dichiarazioni demenziali riempiendo le pagine dei giornali. Gli altri politici erano in vacanza e lui approfittava dell’assenza dei big per farsi un po’ di pubblicità. C’è chi prevede che l’Umberto dia una spallata al governo chi, invece, tende ad accreditare la tesi dell’innalzamento della posta. Se sono vere le notizie che circolano in queste ore, la richiesta di Bossi sarà: “Non più due ma quattro ministeri al nord”. Il segnale è inequivocabile, giunto alla fine del suo percorso terreno, il leader della Lega preferisce lasciare restando fedele a uno che almeno lo ha fatto divertire e che gli ha fatto provare l’ebbrezza del potere vero, dei palazzi romani, e non quello dell’osteria di Ponte di Legno dove al massimo gli servivano polenta e capriolo. Su tutti però si staglia la figura della terza “B” dell’Italia che soffre. Luigi Bisignani si sta infatti rivelando un personaggio da dramma shakespiriano, una sorta di Shylock pronto ad addentare la libbra di carne umana del suo debitore. Potentissimo uomo di sottopotere dai mille tentacoli, terminale di tutti coloro che volevano accreditarsi presso il nunzio apostolico nel Pdl Gianni Letta, Bisignani non ha l’aria del furbo né dello spietato uomo di affari legato a filo doppio con la politica. Sembra più un malato di mente che si crede Churchill piuttosto che il Fantozzi che per anni, dopo Mani Pulite, la gente ha creduto che fosse. Autore delle lettere di licenziamento a Santoro, capo di quell’Alfonso Papa magistrato amante delle donne dell’Est (questione di pelle), Bisignani è l’erede di Licio Gelli, il sublimatore delle alleanze scomode, il procacciatore di accrediti alti e di favori a ogni piè sospinto. Secondo noi è l’emblema dell’era berlusconiana, un personaggio tanto ignorante quanto disinibito in grado di muovere pedine che non aveva sognato di poter muovere neppure al circolo di scacchi della parrocchia. Ma a Silvio questa è l’Italia che fa comodo, ignorante e pasticciona. Lui, nel guano del kaos ci sguazza da Dio.

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