Il Pm Ilda Boccassini e, sullo sfondo, Niccolò Ghedini, avvocato difensore di Silvio Berlusconi (rainews24.it)
Quando c’è lui di mezzo, non sembrano esistere terze vie.
Silvio Berlusconi ha, tra le tante altre qualità, lo straordinario potere di essere l’incarnazione vivente del principio di non- contraddizione aristotelico: “o A oppure non-A”, “tertium non datur“, come si suol dire. La leadership carismatica del Cavaliere e le sue dotazioni mediatiche ed editoriali fanno ‘sì che – sottolineano da ormai 20 anni sociologi e politologi – la polarizzazione ideologica nei suoi confronti sia netta: odio versus amore, niente compromessi.
La requisitoria del Pubblico Ministero Ilda Boccassini all’interno del processo “Ruby” si è conclusa con la richiesta della pena per l’imputato Silvio Berlusconi: 6 anni di reclusione e interdidzione perpetua dai pubblici uffici. Il pacifico e disteso (mica tanto) clima da governo di larghe intese in gita ascetico/calcistica all’abbazia toscana di Spineto si è così rotto. A dirla tutta, la manifestazione pidiellina di sabato 11 maggio a Brescia – formalmente organizzata per esprimere il disagio e il disappunto nei confronti di “certa magistratura”- aveva già contribuito a creare qualche imbarazzo. Specie perché tra i partecipanti c’era Angelino Alfano, Ministro dell’Interno e vice premier dell’esecutivo della concordia discorde all’italiana. La verità è che il tentativo di sotterrare l’annosa opposizione tra filo e antiberlusconiani, che da 20 anni spacca il paese e ne mina di fatto la governabilità, con questa versione 2.0 di una Dc aggiornata al XXI secolo risulta una pura utopia. L’idea di raccogliere nel grande abbraccio ecumenico del governo Letta le pulsioni opposte di una società fortemente lacerata, manifestate anche dal peso della principale forza di opposizione, quel Movimento 5 Stelle che ora non desta più il fascino della novità, è a conti fatti impossibile finché il signore della destra italiana continua a essere Silvio Berlusconi.
Inutile illudersi e sperare in un ravvedimento all’insegna della responsabilità e dell’amor patrio da parte dell’ex premier. La prima legge della robotica politica di Silvio Berlusconi è che il centro e il fine ultimo di ogni azione politica sono Silvio Berlusconi e le sue proprietà. Il finto buonismo e la malcelata pacatezza sul governo Letta di questo periodo fanno solamente parte della strategia (al 99% vincente e, va detto, politicamente scaltrissima) di aspettare il momento giusto per incassare il massimo di fiches e passare alla cassa della legittimazione elettorale. Il riflesso condizionato a cui siamo condannati chissà ancora per quanto tempo è il solito: condanna/processo a Berlusconi; reazione sdegnata dei berluscones; attacchi alla magistratura; reazione della Associazione Nazionale Magistrati; commenti giornalistici incriminatori o mallevatori; ulteriore polarizzazione nell’opinione pubblica. Lunedì al Tribunale di Milano si è avuto poi una sorprendente dimostrazione di supporto a favore del Pm Boccassini da parte di attivisti con cartelloni e stendardi a sostegno dell’azione del magistrato. Dopo i berluscones ecco i boccassines, miracoli dell’Italia contemporanea.
A scanso di equivoci, questa non è un’apologia di Berlusconi. Al contrario, è un tentativo di cercare di comprendere il berlusconismo nel suo profondo radicamento nel costume e nella società italiane, del suo essere prodotto e al contempo artefice del cambiamento di essi. Va da sé che l’attività della magistratura è sacra e va mantenuta indipendente dal controllo e dall’influenza della politica. E che un individuo, se pluricondannato, non dovrebbe più occupare una carica pubblica. Il problema sorge quando in nome della difesa o dell’attacco della figura di Berlusconi ci si spinge a chiudere gli occhi di fronte alla realtà o a piegarla contro ogni ragionevole evidenza. L’operato dei giornalisti che hanno confezionato quell’ineffabile “cosa” chiamata “La guerra dei vent’anni” è un colpo sotto la cintura diretto contemporanemaente contro la dignità professionale giornalistica e l’intelligenza del popolo italiano. Oltre a riproporre per l’ennesima volta l’annosa questione del conflitto di interessi, ma per quello bisogna citofonare anche a Largo del Nazareno.
Una celebre frase del filosofo tedesco Theodor Adorno suona come un augurio e come un monito per il futuro:
La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta